Il doppiaggio: una Storia tutta italiana

Ago 29th, 2013 | Di cc | Categoria: Spettacoli e Cultura

Quando andiamo al cinema, la sensazione che riceviamo dalla visione di un film doppiato è di assoluta naturalezza: entriamo nella sala accettando di vedere una pellicola non completamente originale ma ci arriva l’illusione di assistere a un prodotto autentico.

È con il doppiaggio che il cinema compie l’ultima magia. Non tutti se ne accorgono guardando un film e ben pochi sanno cosa succede nelle piccole stanze di uno studio di doppiaggio.

Cominciamo dall’inizio: la sua storia nasce proprio in Italia, per la precisione il 22 ottobre del 1930, quando una legge emanata dalla dittatura fascista impone di “togliere ogni scena parlata in lingua straniera”. Ciò rispondeva a un’esigenza di nazionalizzazione della cultura, di protezione della lingua italiana dalle intrusioni straniere. A quel tempo il 90% dei titoli cinematografici importati in Italia proveniva dagli Stati Uniti che, dal 1927, anno dell’uscita del film Il cantante di jazz, avevano introdotto il sonoro. Durante la fase del cinema muto, i dialoghi venivano illustrati grazie all’uso di didascalie tra un’inquadratura e l’altra e in un primo momento si tentò di tornare a questo sistema. Purtroppo, l’alto tasso di analfabetismo nel nostro paese impediva l’adozione di questa pratica. Sono state tentate altre strade, come far recitare agli attori il film in più lingue, pratica subito rivelatasi molto dispendiosa. Così la Warner Bros., colosso cinematografico già a quel tempo, pur di non perdere la grossa fetta del mercato italiano, ha aggirato la legge perfezionando un metodo già utilizzato dalla Metro Goldwyn Meyer: esso prevedeva la sostituzione delle voci originali degli attori con voci di attori italiani. E così nasce il doppiaggio. Questo nuovo metodo aveva l’innegabile vantaggio di attrarre al cinema un maggior numero di spettatori analfabeti che non avrebbero avuto altro modo di avvicinarsi alle pellicole in lingua straniera. Questa è la ragione per cui la pratica di doppiare i film è stata adottata anche da altri paesi dalla forte identità linguistica come la Francia, la Spagna, l’Inghilterra e i paesi germanofoni. C’è chi ha tentato di dimostrare una connessione tra l’adozione del doppiaggio e l’esistenza di regimi dittatoriali ma ciò non spiegherebbe come mai esso non abbia attecchito in Portogallo, vessato dal regime di Salazar per 36 anni, e sia stato accolto in Inghilterra.

Il doppiaggio avviene in post-produzione ovvero quando la pellicola è ormai finita, pronta per essere proiettata. Il copione è tradotto, adattato dai dialoghisti, e il direttore del doppiaggio è il vero e proprio regista di questa fase: egli provina e seleziona le voci degli attori e dirige la creazione della nuova colonna sonora. Il lavoro del suo team non consiste solo nel sincronizzare alla perfezione i movimenti labiali degli attori sullo schermo con le voci dei doppiatori ma anche nell’operare un adattamento linguistico. Bisogna evitare di discostarsi dal senso originale del copione, tradurre termini culturalmente connotati, battute comiche, adattare il turpiloquio e i dialetti. Tutto ciò ha portato a un curioso fenomeno, quello del doppiaggese, una varietà orale del tutto artificiale della lingua italiana che si ritrova solo in prodotti audiovisivi importati e tradotti per il piccolo e il grande schermo, ricca di parole ed espressioni stereotipate. Quest’appellativo negativo è stato coniato dagli stessi traduttori audiovisivi per identificare un linguaggio ibrido emerso nel tempo come una varietà standard, parlata da tutti i personaggi dei prodotti doppiati.

Il doppiaggio però non è utilizzato solo per le pellicole straniere. Quando si gira un film, il regista può scegliere tra la presa diretta o il doppiaggio in studio. Con la presa diretta, le voci e i suoni registrati dal vivo costituiscono la colonna sonora, mentre con il doppiaggio in studio essa è creata ex novo in studio di doppiaggio e gli attori “ridoppiano” se stessi. Tale pratica nasce da esigenze produttive nate negli anni d’oro del cinema italiano: spesso il copione cambiava o il grande attore non poteva ripetere una scena per i suoi innumerevoli impegni e la sua voce veniva sostituita da quella di un altro attore. Spesso un classico della cinematografia viene ridoppiato dopo un restauro o per meglio adattarsi ai tempi moderni, proprio come succede con i classici della letteratura quando vengono tradotti nuovamente. Si trattava di un sistema adeguato alla pratica del dopoguerra di ingaggiare attori esclusivamente per il loro aspetto fisico e non per le loro capacità attoriali, perché ci avrebbero pensato i doppiatori a migliorarne la performance.

La scuola italiana del doppiaggio ha dato vita a una grande tradizione, famosa in tutto il mondo, che da Emilio Cigoli, passando per Alberto Sordi e arrivando a Ferruccio Amendola, ha fatto la storia del cinema come lo conoscono gli spettatori italiani. Purtroppo negli ultimi anni quest’eccellenza è andata perdendosi, a causa del moltiplicarsi di televisioni private, che ha comportato anche la nascita di nuove agenzie e doppiatori che si fanno concorrenza: se prima occorrevano tre settimane per la realizzazione di una colonna sonora, ora bastano cinque giorni, con risultati spesso qualitativamente poco apprezzabili.

Rosa Turco

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