BERLUSCONI, I PARTITI E IL 30 LUGLIO
Lug 30th, 2013 | Di cc | Categoria: Politica
di Elia Fiorillo
Ci sono date che rimangono nell’immaginario di un paese indelebili. Sia a causa di un fatto memorabile nella sua tragicità o letizia, o per un accadimento legato alle motivazioni più diverse. Comunque la si voglia catalogare la data del trenta di luglio resterà impressa nella memoria di una generazione politica, e non solo. Quel giorno i giudici della suprema Corte di Cassazione si pronunceranno sulla vicenda Mediaset che vede tra gli imputati Silvio Berlusconi. Al di là del giudizio favorevole o avverso al Cavaliere, quella decisione metterà in moto un terremoto politico di proporzioni, appunto, memorabili. Enrico Letta ed il suo governo di coalizione “atipica”, nell’ottica del bipolarismo muscolare praticato ed ideologizzato negli ultimi vent’anni, è con le valige in mano. Basta un cenno del capo dell’”imputato” Silvio per condannare un’esperienza nata a fatica nell’impossibilità di percorsi politici alternativi, che non fossero il ritornare alle urne, con tutte le conseguenze del caso. Al di là della questione in ispecie, un interrogativo balza alla riflessione generale: “Ma che tipo di democrazia è quella in cui una sentenza di un giudice può far saltare un governo?”.
Non siamo in un periodo di “vacche grasse”. Il baratro è dietro l’angolo, come alcuni paesi a noi vicini ci stanno a dimostrare. Eppure la tarantella destabilizzante degli opportunismi non si placa, anzi l’evento del trenta di luglio sta accelerando percorsi personali e di gruppo per l’acquisizione di spazi di potere a scapito degli interessi più generali del Paese. Nel Pdl, dopo la brutta storia che ha coinvolto ed indebolito Angelino Alfano nella sua qualità di ministro dell’Interno, i coltelli si stanno ancora di più affilando. L’ala realista, più realista dello stesso Berlusconi, è pronta a scendere in piazza a contestare l’eventuale sentenza negativa a carico del Capo. La crisi di governo, con l’inevitabile ritorno alle urne, aprirebbe nuovi scenari soprattutto personali nel posizionamento successorio a quello che fu il Caimano. Ma anche, nell’ipotesi di una vittoria elettorale possibile stando ad alcuni sondaggi, all’occupazione di ministeri di potere. Insomma, sotto sotto, la speranza di alcuni sarebbe proprio che la Cassazione puntasse il pollice verso a Silvio.
L’altra faccia del governo delle larghe intese, quella del Pd, è alle prese con la scadenza congressuale dopo l’addio traumatico, con porta sbattuta alle spalle, di Pier Luigi Bersani. Un congresso di rifondazione per evitare, tra l’altro, che anche il prossimo leader eletto dopo un po’ si dimetta, com’è avvenuto per Veltroni e per Bersani. “I cavalli di razza” del partito si stanno riscaldando da tempo per la corsa finale. Certo, la Cassazione che dà torto al Berlusca è “tutto grasso che cola”. Nel senso che le opportunità di quelli che non stanno al governo aumenterebbero. Si sa che “il potere logora chi non ce l’ha”.
Poi c’è la Terza forza, i Grillini, che pur avendo la possibilità di “sparigliare e di comandare” nei campi avversari, non si vogliono sporcare le mani nel provare a raddrizzare la barca. Meglio le urne? Qualche dubbio anche i mitici capi del Movimento ce l’hanno di come andrà a finire per loro se si andrà al voto. Le amministrative insegnano. Ma chi è “duro…e puro” non può tergiversare. Urla ed insulti a go go eppoi si vedrà. E’ chiaro che il Movimento cinque stelle non può non volere il voto e sperare che il governo Letta salti.
A livello di esecutivo, come si può comprendere, non tutto fila liscio. Il mal di mare della barca nella tempesta lo soffrono tutti. C’è chi va avanti nel suo lavoro con fatalismo, e chi si muove per posizionarsi nei possibili scenari futuri.
A differenza di altre vigilie di pronunciamenti della Magistratura, stavolta il diretto interessato, Silvio Berlusconi, non lancia né anatemi, né strali su chi lo dovrà giudicare. E c’è chi assicura nel suo entourage che se dovesse essere condannato in via definitiva, con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, immediatamente si dimetterebbe da senatore per evitare l’onta della cacciata.
Di fiuto politico l’Uomo di Arcore né ha da vendere. Lo ha dimostrato alle ultime elezioni quando molti si erano illusi che il Pdl avrebbe fatto flop. Non andò così. Un Berlusconi condannato, al di là di qualche manifestazione di piazza senza conseguenze per il governo, potrebbe impegnarsi a rifondare con maggior lena il Pdl e contemporaneamente a far varare al governo norme di grande appeal sull’opinione pubblica. Potrebbe poi aspettare il momento propizio per tornare a votare, magari con un Porcellum non troppo modificato.
In casa Pd una condanna dell’ex presidente del consiglio, con il congresso alle porte, porterebbe ad una resa dei conti interna pericolosa. Potrebbe prevalere la tesi che con un condannato per evasione fiscale non si può andare a braccetto. Il risultato sarebbe il ritorno alle urne con la vecchia legge elettorale e con la quasi certezza di non essere premiati dagli elettori. Insomma, probabilmente sia al Pd che al Pdl, che agli italiani, conviene un governo che attuati pochi ma significativi punti di un programma da riscrivere, dove in pole position ci dovrebbe essere il varo della nuova legge elettorale. Poi si vedrà.
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