La guerra italiana agli OGM e gli obblighi imposti dalla normativa europea.

Lug 4th, 2013 | Di cc | Categoria: Ambiente

Il ventesimo secolo è stato caratterizzato da enormi progressi nella conoscenza scientifica in tutti i campi, dalla fisica alla chimica, dalla biologia alla matematica. Le nuove scoperte, come in una reazione a catena, hanno portato alla nascita di tecnologie innovative, che a loro volta ne hanno fatte sviluppare altre ancora più velocemente. Ciò ha permesso all’uomo contemporaneo di godere di privilegi inimmaginabili e di assistere ad un aumento globale, anche se non equamente distribuito, della ricchezza e dei consumi. L’informatica, la terapia genica, la telefonia cellulare, le piante geneticamente modificate pochi anni fa non esistevano. Oggi esse fanno parte delle nostre esperienze quotidiane. Ci affascinano pur destando perplessità e troppo spesso senso di angoscia.

Da alcuni giorni il dibattito sugli organismi geneticamente modificati (OGM) è tornato agli onori della cronaca italiana, a seguito delle furenti dichiarazioni del Ministro delle Politiche Agricole Nunzia De Girolamo che, in linea con la politica dei suoi predecessori, ha dichiarato guerra aperta agli OGM.

La reazione del Ministro è stata innescata dalla singolare protesta di un agricoltore, il friulano Giorgio Fidenato, il quale pochi giorni fa ha deciso di seminare sul suo terreno mais Mon810 OGM autorizzato dall’UE, modificato geneticamente per resistere alla piralide del granturco, dopo averne informato anticipatamente la stampa e aver diffuso la notizia attraverso vari blog.

Mediante questo gesto simbolico, Fidenato, coerentemente con quanto più volte ribadito dalle istituzioni e dagli organi dell’UE, ha inteso far valere in Italia il diritto degli agricoltori di coltivare anche piante transgeniche, poiché, a suo avviso, non può più essere demonizzata alcuna forma di agricoltura sia essa convenzionale, biologica o che si avvale degli OGM autorizzati.

Quale immediata risposta al provocatorio gesto dell’agricoltore, il Ministro De Girolamo ha dichiarato di essere intenzionata a presentare al più presto un decreto atto a vietare la semina e la circolazione di OGM in Italia. Giova precisare che, se adottato, detto decreto rischierà di esporre con ogni probabilità l’Italia ad una procedura d’infrazione (che consiste in un procedimento volto a sanzionare gli Stati Membri dell’Unione Europea, responsabili di una qualche violazione del diritto comunitario). 

L’Italia, in quanto paese membro dell’Unione Europea, ha infatti l’obbligo di recepire le Direttive comunitarie e di ottemperare i Regolamenti (dunque anche in materia di biotecnologie). Ne consegue ovviamente l’impossibilità di limitare l’importazione di prodotti OGM autorizzati a livello europeo o di vietarne la coltivazione se non per motivazioni scientificamente supportate.

Procediamo con ordine e cerchiamo di fare un po’ di luce sui cosiddetti prodotti OGM. Cosa è innanzitutto un OGM? Si definisce organismo geneticamente modificato (OGM), un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale. 

L’introduzione delle tecniche di manipolazione genetica in agricoltura è stata accolta in Italia sin da subito da un clima di generale freddezza e di grossa diffidenza. Diffidenza ed ostilità generate non solo dalla esigua disponibilità di mezzi economici a disposizione delle aziende del settore, ma, soprattutto dalla pubblicità negativa che ha accompagnato l’impiego delle biotecnologie. Esse sono state spesso demonizzate e tacciate di essere lesive della qualità e della tipicità dell’agricoltura italiana.

Il mais MON810 seminato da Fidenato, ad esempio, esprime una proteina che, essendo tossica per alcuni insetti, conferisce alla pianta la capacità di resistere agli attacchi di lepidotteri dannosi. Il fatto di poter far produrre alla pianta determinate sostanze (innocue per l’uomo) che la proteggano “naturalmente” dall’attacco degli insetti, come nel caso di questa varietà, è una strada per evitare di spargere enormi quantità di composti chimici (la gran parte dei quali verrebbero persi) con vantaggio oltre che di resa e costi, anche per l’ambiente, per organismi e contadini grazie a un’esposizione minore e molto più confinata.

è superfluo ricordare poi che, specie per quel che riguarda il settore agricolo, l’Italia si è sempre distinta per una produzione legata all’alta qualità più che alla quantità. Ciò che molti ignorano però è che buona parte della nostra produzione di eccellenza, include nella sua catena di produzione animali nutriti con mangimi OGM senza che questo faccia perdere ai prodotti alcuna certificazione di qualità.

Al centro di un interesse mediatico non trascurabile, gli OGM hanno visto negli ultimi anni un aumento decisamente considerevole delle normative loro destinate. La disciplina in questione non è analizzabile in un’ottica puramente nazionale, avendo assunto, nel corso degli anni, un ruolo fondamentale la normazione di provenienza sopranazionale, e segnatamente comunitaria, oltre che internazionale.  Le disposizioni comunitarie, in base ad una visione di filiera del prodotto, disciplinano il materiale biologico modificato dall’ideazione al suo utilizzo finale, attraverso una serie di provvedimenti orizzontali. La coltivazione di OGM a scopo sperimentale e commerciale è regolamentata dalla normativa relativa al rilascio deliberato nell’ambiente di OGM (Direttiva 2001/18/CE), dai Regolamenti 1829/2003/CE e 1830/2003/CE, relativi agli alimenti e mangimi geneticamente modificati, e da vari decreti attuativi.

La direttiva 2001/18/CE, ponendosi come scopo il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri e la tutela della salute umana e dell’ambiente, viene considerata una direttiva iperdettagliata, che indica con precisione le norme interne che gli Stati sono tenuti ad adottare. In tal modo, la discrezionalità dello Stato si riduce in ultima analisi soltanto alla scelta della forma giuridica interna da dare alla norma già fissata sul piano comunitario. A livello nazionale, il Decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, ha dato recepimento alla direttiva, riprendendone l’impianto e individuando l’autorità competente responsabile dell’attuazione delle prescrizioni in essa contenute.

Per ciò che concerne l’uso degli OGM come alimenti e mangimi, è importante segnalare il regolamento 178/2002/CE, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. Detto regolamento si pone come obiettivo quello di assicurare, in primo luogo, un livello elevato di tutela per la salute umana, individuando quale principi fondamentali della legislazione alimentare comunitaria l’analisi del rischio, il principio di precauzione e quello di trasparenza, integrati dalla previsione di obblighi generali in materia di commercializzazione dei prodotti alimentari e di requisiti di sicurezza degli alimenti e dei mangimi.

La Commissione Europea ha poi adottato la Raccomandazione 2003/556/CE, recante orientamenti per lo sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, in cui sono elencati i principi generali da prendere in considerazione. La raccomandazione, pur essendo per sua natura un atto comunitario sfornito di carattere vincolante, è dotato di una forte valenza persuasiva.

Nella Raccomandazione 2003/556/CE, si afferma il diritto – quello invocato da Fidenato – degli agricoltori dell’UE di coltivare anche piante transgeniche, dal momento che, come si legge nella raccomandazione “non deve essere esclusa alcuna forma di agricoltura tradizionale, biologica o che si avvale di OGM”.

Si tenga comunque presente che tutti i prodotti ottenuti a partire da OGM o che ne contengano traccia, sono soggetti nell’UE all’obbligo di etichettatura. L’etichettatura permette al consumatore di essere meglio informato e lo rende libero di scegliere se acquistare (o meno) i prodotti contenenti OGM, da essi costituiti od ottenuti. Gli operatori che commercializzano un prodotto preconfezionato OGM o che contenga OGM devono ad ogni livello della catena di produzione e di distribuzione controllare che l’indicazione “questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati” o “questo prodotto contiene (nome dell’organismo)” figuri sull’etichetta del prodotto. Se si tratta di prodotti, anche in grandi quantità, non confezionati e se l’utilizzazione di un’etichetta risulta impossibile, l’operatore deve fare in modo che tali informazioni siano trasmesse unitamente al prodotto. Esse possono configurarsi, ad esempio, come documenti di accompagnamento.

L’Italia ha fatte proprie le disposizioni contenute nella suddetta raccomandazione con l’approvazione del decreto legge n. 279 del 22 novembre 2004, recante disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica, convertito poi, con alcune modifiche, nella Legge n. 5 del 28 Gennaio 2005. Tale normativa ha introdotto nella disciplina italiana il principio della coesistenza tramite la separazione delle filiere e quello della libertà di scelta del consumatore nella decisione del tipo di prodotto da usare: biologico, convenzionale o transgenico. Per l’attuazione pratica della coesistenza la Legge rimandava a delle norme quadro nazionali da emanarsi successivamente con decreto ministeriale d’intesa con le Regioni e le Province Autonome. Alle stesse Regioni e Province Autonome era assegnato il compito di redigere dei Piani di coesistenza in coerenza con le norme quadro.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 116 del 17 marzo 2006, in seguito ad un ricorso promosso dalla Regione Marche sulla legittimità della l. 5/2005, ha sancito che la disciplina della coesistenza tra differenti tipi di agricoltura (convenzionale e biologica con quella che si avvale di OGM) è competenza esclusiva delle Regioni e Province Autonome in quanto la coltivazione a fini produttivi riguarda chiaramente il “nocciolo duro” della materia agricoltura.

Pertanto spetta alle Regioni l’esercizio del potere legislativo per disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori regionali, notoriamente molto differenziati dal punto di vista morfologico e produttivo. La stessa sentenza ha però considerato legittimi i primi 2 articoli della Legge n.5/2005, lasciando inalterata la necessità di dare attuazione al principio di coesistenza al fine di non compromettere la biodiversità dell’ambiente naturale e di garantire la libertà di iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare nazionale.

La sentenza del 2006, affidando la disciplina della coesistenza alle Regioni e alle Province, ha spianato la strada alla possibilità che le norme sulla coesistenza fra agricoltura tradizionale e OGM possano variare significativamente da regione a regione. Benché di fatto nessuna regione possa vietare la coltivazione di OGM poiché contravverrebbe alla normativa Europea, l’imposizione di norme di coesistenza più o meno rigide può rendere estremamente difficoltosa la sopravvivenza di colture transgeniche sul territorio italiano. Al momento 13 Regioni hanno predisposto delle norme che di fatto rendono estremamente sconveniente e problematica la coltivazione di OGM sul loro territorio.

Va precisato comunque che, anche se al momento non ci sono significative colture OGM in Italia (se non a livello sperimentale), non significa che sia un Paese libero da OGM. Ciò che molti ignorano è, come prima anticipato, che la gran parte dei mangimi utilizzati negli allevamenti italiani è prodotta a partire da soia e mais geneticamente modificati importati per la gran parte da Canada, Stati Uniti e America Latina (circa il 70% della soia prodotta al mondo e quasi il 50% del mais sono OGM).

Posto ciò, occorre ribadire che la normativa comunitaria va rispettata e che, l’idea del Ministro De Girolamo, di varare un decreto che vieti la circolazione in territorio nazionale di OGM è quanto mai discutibile poiché sottoporrebbe, con certezza quasi matematica, l’Italia ad una procedura di infrazione.

Non mi considero una accanita sostenitrice degli OGM, ma credo che negli ultimi anni, i mezzi di comunicazione abbiano incrementato ingiustificatamente le preoccupazioni del pubblico riguardo le conseguenze sull’ambiente e sulla salute derivanti dalla coltivazione e dal consumo di piante geneticamente modificate, riportando molte volte in modo acritico le conclusioni di studi controversi che in seguito sono risultati non corretti. Termini caricati emotivamente come “cibo di Frankenstein”, super infestanti, inquinamento genetico, sono entrati nel vocabolario comune, spesso senza che sia chiaro a cosa ci si riferisce. Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati, è troppo spesso guidato da interessi economici sia di chi è a favore sia di chi è contro di essi e si avvale della scarsa conoscenza scientifica del pubblico cui si rivolge. Da un lato ci sono gli strenui ed irriducibili difensori della scienza e della tecnologia, coloro che ad ogni costo sostengono il nuovo, il futuro ed il progresso. Dall’altro i conservatori ad oltranza, coloro che la scienza definisce “oscurantisti”, refrattari al nuovo ed irriducibili nemici di qualunque cosa modifichi le loro abitudini e tradizioni. Proprio questo tipo di atteggiamento ha portato in Italia ad un rifiuto nei confronti delle biotecnologie in generale e non soltanto dell’uso di alimenti transgenici, con l’eccezione delle applicazioni mediche o farmaceutiche.

In realtà la possibilità di compiere scelte consapevoli non può prescindere, da un lato dalla disponibilità di corrette informazioni e, dall’altro, di strumenti conoscitivi adeguati a comprendere i problemi.

Per ovviare alla totale disinformazione sugli OGM occorrerebbe anzitutto fornire alcune nozioni scientifiche di base, anche ai non addetti ai lavori, relative alla produzione di OGM. Si storce il naso infatti appena si sente parlare di biotecnologie ma si ignora che le biotecnologie tradizionali, intese semplicemente come utilizzazione di organismi viventi (batteri, lieviti, cellule vegetali o animali di organismi semplici e complessi), risalgono a tempi preistorici. Esse hanno permesso attraverso tecniche naturali, come la fermentazione, di produrre il formaggio partendo dal latte, il vino partendo dall’uva, il pane, la birra e così via. Applicate ai vegetali ed agli animali, le biotecnologie tradizionali hanno sfruttato fenomeni naturali come l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale con tecniche quali l’incrocio e la selezione.

Si è contrari alla biotecnologia ma è grazie ad essa che nel 1982 fu realizzata l’immissione sul mercato di un farmaco, l’insulina, fondamentale nel controllo della glicemia e quindi della malattia diabetica con tutti gli aspetti negativi ad essa correlati. Sfruttando le biotecnologie alcune piante hanno sviluppato caratteristiche di marcato interesse agronomico come la resistenza a parassiti e la tolleranza a erbicidi.

Attualmente la ricerca è orientata verso la seconda generazione di OGM, piante in cui le modifiche sono preposte al miglioramento delle caratteristiche qualitative e nutrizionali, e la terza generazione per la produzione di composti ad alto valore aggiunto da utilizzarsi nell’industria chimica o farmaceutica.

Il dibattito sull’utilizzo delle agrobiotecnologie investe moltissimi ambiti d’interesse collettivo ed è alimentato dalla produzione di dati a favore o contro il loro impiego, perché il problema fondamentale è l’alto grado di imprevedibilità derivante dal rilascio di organismi transgenici in un sistema complesso. Il problema degli OGM investe l’economia come il diritto e la medicina, l’agronomia come la politica e infine chiede conto direttamente ai valori etici della nostra società. Si tenga presente che la normativa europea (specie in materia di OGM), pone particolare attenzione al tema della sicurezza alimentare.  Ciò che preme sottolineare è che, allo stato attuale delle conoscenze non esiste alcuna controindicazione connessa al consumo di OGM.

Non esiste infatti alcuna evidenza che i prodotti delle piante transgeniche siano meno sicuri di quelli tradizionali. Purtroppo, l’opinione pubblica è spesso scossa da notizie negative sulla sicurezza dei nostri alimenti, così come avvenuto, ad esempio in Belgio quando si scoprì che alimenti di origine animale erano contaminati da diossina a causa di commercianti di mangimi ed allevatori privi di scrupoli. Queste notizie hanno generato il sospetto che anche i cibi transgenici, provenienti dall’applicazione di una nuova tecnologia genetica, possano essere non sicuri per la nostra salute. Invece, paradossalmente, in molti casi gli alimenti transgenici sono sottoposti ad analisi più accurate di quelle usate per qualsiasi altro alimento. In Europa sono controllati a due livelli: dall’Unione europea e dai singoli Paesi membri. L’approvazione per il commercio di un prodotto transgenico richiede fino a sei anni di tempo, mentre questi tipi di controllo non sono previsti per le piante alimentari prodotte con altri sistemi. Minuziosi controlli sono effettuati per assicurarsi che le piante transgeniche contengano gli stessi componenti delle varietà tradizionali, sia gli elementi nutritivi sia gli altri composti chimici. Dunque, sembra che la feroce e diffusa contestazione dei prodotti GM abbia messo ai margini problemi ambientali ben più gravi e si sia nutrita spesso di pregiudizi ideologici, di voci di corridoio, di ignoranza scientifica.

                                                                                                                                                        Daniela Catalano

 

 

Lascia un commento

Devi essere Autenticato per scrivere un commento