di Elia Fiorillo E’ assurdo come noi italiani riusciamo a sottovalutare, a volte a banalizzare risorse naturali, culturali, artistiche che per fortuna ci siamo trovati sul nostro territorio. Ma anche, per il nostro talento, siamo riusciti ad inventarci ex novo. Insomma, una “bomba atomica” che si trasforma in un “petardo”, per giunta loffio. L’atomica è l’inestimabile patrimonio che è da noi posseduto e che potrebbe esplodere beneficamente, non solo per i profitti economici che verrebbero all’Italia, ma anche per quelli culturali destinati all’umanità intera. Il petardo loffio, invece, è come il nostro Paese impiega le immense ricchezze che possiede. Da questo punto di vista dovremmo costruire una nuova e vera Unità d’Italia fondata sulla condivisione dell’inestimabile patrimonio che possediamo, non sui settarismi territoriali spesso auto celebrativi nella loro ridicolaggine. Su Pompei l’Unesco, ad esempio, proprio in questi giorni ha levato un grido d’allarme ed un ultimatum che ci dovrebbe, come minimo, far arrossire, per non dire altro. Tra tante nubi ci sono ancora nel nostro Paese eventi che attirano l’attenzione di un pubblico internazionale. Un esempio per tutti ci viene dal “Festival dei Due Mondi” di Spoleto. Non fu semplice per Gian Carlo Menotti, musicista, dar vita ad un avvenimento di grande levatura artistico-culturale che onora l’Italia sia per la qualità delle opere rappresentate, sia per i personaggi che si sono esibiti e si esibiscono sui palcoscenici di Spoleto. Oggi diremmo che quella del maestro Menotti fu una scommessa vinta. Ma quanta fatica ed incomprensioni dietro la macchina di musica, arte, cultura, spettacolo che è il festival. Hanno calcato le scene spoletine personaggi dello spettacolo e della cultura - per citare solo alcuni italiani - che il mondo ci ha invidiato: Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Eduardo De Filippo, Romolo Valli, Rosella Falk, Vittorio Gasman, Nino Rota, Carla Fracci, Luciano Pavarotti. Il “festival dei Due Mondi”, dell’Italia e dell’America, è la sintesi felice tra la grande scenicità di una città-teatro, con i suoi “magnifici palazzi gentilizi che si aprono improvvisi dopo lunghe e strette vie in salita tra quinte di case medievali, con quelle piazze spiazzanti per le loro prospettive inedite e la loro asimmetria”e l’arte in tutte le sue forme. Menotti impiegò ben tre anni prima di concretare la sua idea. Nel 1958, il 5 giugno, la nascita ufficiale dell’iniziativa. “Dire che questo festival è stato ideato per insegnare ai giovani artisti e per aiutarli è vero solo in parte”, afferma Menotti. “Perché il più delle volte sono i giovani che insegnano a noi…” E con questa idea di fondo il festival di Spoleto è arrivato alla sua cinquantaseiesima edizione che si sta svolgendo proprio in questi giorni. I giovani artisti a Spoleto hanno potuto “esprimersi liberamente, senza vincoli di ideologie politiche e di ossequio alle mode estetiche e senza impaccio di direttori autoritari”. Abbiamo voluto ricordare il festival spoletino perché è un esempio di come l’intelligenza creativa legata al patrimonio ambientale e storico può produrre iniziative dall’alto valore culturale ed artistico. Ma tutto dipende dal progetto e dalla regia. Che pare proprio non ci sia per quanto riguarda la conservazione e la valorizzazione del nostro patrimonio archeologico. Il ministro dei Beni culturali, Massimo Bray, ha promesso progetti immediati per far fronte al degrado di Pompei. I soldi comunitari ci sono. Ci sono anche promesse di cospicue elargizioni da parte di mecenati privati. Ma per rompere la spirale di burocrazia, incuria, bassi interessi politici che sono stati in questi anni la tomba non solo di Pompei, ma di buona parte dei siti archeologici del nostro Paese, ci vuole ben altro. C’è bisogno di un progetto complessivo per guardare al futuro, anzi per dare un “futuro” a quei siti che tutto il mondo c’invidia. Ci permettiamo di suggerire al Ministro un’operazione che non costa. Una commissione formata da cinque esperti mondiali – inconfutabili nel loro sapere e nella loro autonomia - nel campo della conservazione dei beni culturali, ma anche della loro valorizzazione, che ipotizzi un percorso non solo di mantenimento, ma anche di fruizione e di gestione. Sarà il Parlamento, poi, in base ai risultati dei lavori dei cinque saggi-esperti a varare una legge decennale sui Beni culturali del nostro Paese. I saggi dovranno, in particolare, tenendo conto anche dell’esperienza degli altri Paesi, ipotizzare un modello di governo che sia efficace ed efficiente, non escludendo ideologicamente i privati. Insomma, inventarsi qualcosa che faccia rendere godibili certi beni anche ai nostri posteri. Questa è la scommessa, assolutamente da vincere.