L’Italia che non c’è

Mag 21st, 2013 | Di cc | Categoria: Politica

Una penna, vorrei dare una penna a tutti gli italiani che ogni giorno si trovano a dover fare i conti con la vita. Una penna per scrivere e raccontare cos’è successo in questi anni, quando pensavamo di vivere in un paese che non c’è, che non è mai esistito. Mi piacerebbe dar loro la possibilità di squarciare il velo di falso benessere che ci avvolge e far luce sulla disperazione che lentamente sta stritolando una nazione.
Tutto questo per evitare il disastro, prossimo a venire, che si chiama disordine sociale. Sì, perché le gocce di malessere che continuano a essere versate sulla nostra gente tra poco saranno un mare su cui sarà difficile navigare.
L’Europa, quel sogno che ci hanno fatto credere possibile, si sta rivelando un incubo da cui scappare.
La finanza, il mostro che doveva essere la chiave per domare i mercati, si è dimostrata solo capace di arricchire i ricchi e impoverire le masse.
Già, le masse, una parola che sembrava persa nelle nebbie del passato, ora riprende ad avere senso e ha un significato triste fatto di disoccupazione, sconforto, rabbia.
E la rabbia rischia di esplodere.
Adesso abbiamo un governo senza alternative, una compagine che se non risponde con fermezza e chiarezza ai problemi dell’Italia sarà destinata a essere ricordata come il detonatore di un’esplosione sociale tanto violenta quanto imprevedibile nei risultati.
Gli anni di piombo riuscirono a essere arginati attraverso l’impegno di un intero paese. Oggi non manca il paese, manca la volontà dell’impegno. I cortei di quegli anni erano manifestazioni tese a difendere la nazione e le sue strutture. In certi casi si trovarono fianco a fianco uomini che si erano sempre combattuti e idee lontane anni luce.
Oggi cosa sarebbe?
Grillo, pur nella propria follia politica, ha ragione quando dice che grazie alla sua presenza si è evitato l’inizio del disastro. Ma adesso che la sua formazione si è rivelata, com’era facile prevedere, inconsistente non vi è nulla che possa frenare la prossima rabbiosa reazione della gente.
L’ultima speranza è proprio in questo governo, tanto sballato nella sua composizione quanto consapevole di essere l’estrema risorsa di un paese senza più risorse.
Allora occorre mettere da parte gli estremismi, intervenire con urgenza e forza, lasciar perdere le vendette trasversali e quelle lobbistiche. Solo così la classe dirigente attuale riuscirà a far dimenticare le enormi responsabilità di cui si è macchiata.
E’ difficile, assai difficile, ma gli anni nei quali alla politica e al confronto si è preferito far crescere l’odio e la vendetta, devono essere velocemente lasciati alle spalle e i retaggi che ancora rimangono vanno estirpati con decisione.
I fatti dovranno zittire i corvi che di quest’odio si cibano usandolo magari per incrementare il proprio conto in banca.
Anche coloro che dovrebbero rappresentare lo scanno più alto dell’equilibrio e che si sono lasciati corrompere dalla volontà d’apparire e dall’esaltazione del potere, della vendetta e della giustizia predeterminata, devono fare un passo indietro e ritornare nel loro alveo naturale rimettendo i piedi per terra.
Adesso occorre realismo e decisione. I numeri di una crisi che sino a ieri preoccupavano ora si stanno macchiando di sangue.
I nostri giovani si guardano intorno accorgendosi di come sia sottile la patina del benessere in cui li abbiamo fatti crescere, dietro alla quale c’è il fallimento di una generazione illusasi di aver raggiunto la meta.
Il lavoro è il primo tra tutti i problemi da risolvere.
La liberalizzazione del mondo produttivo è necessaria, ma accanto a questo va impedito, ad ogni costo, lo sfruttamento e il licenziamento facile.
La crisi non deve, e sottolineo non deve, servire da alibi a chi continua a macinare utili per ridisegnare il proprio modello organizzativo in modo da aumentare la marginalità operativa.
Così come occorre supportare quei settori che possono essere il volano della ripresa evitando di fare assistenzialismo, ma non massacrando i deboli per garantire i forti.
La detassazione per chi assume, il pagamento dei debiti dello Stato, un deciso impulso per la ripresa delle economie locali sono decisioni da assumere con urgenza.
Il turismo, ad esempio, non può rimanere in un cantuccio laddove potrebbe essere una fondamentale risorsa per creare occupazione e produttività in intere zone del paese.
Se vi sono difficoltà d’investimento per problemi locali, ebbene in questo caso sia lo Stato a farsi, con le proprie forze, garante della trasparenza e del buon funzionamento delle cose.
Serve però snellire al massimo la burocrazia colpevole di deleteri ritardi e di piccoli e dannosi potentati fatti di carta e bolli, così come è necessario ridimensionare il sistema fiscale per far aumentare i consumi.
In questo modo, solo in questo modo, il paese riuscirà a riprendere in mano il proprio destino.
Occorre coraggio, certo, ma è questa l’unica strada per evitare l’esplosione di una rabbia che monta ogni giorno di più.
Una rabbia che potrebbe avere un colore terribile.

Edoardo Barra

Lascia un commento

Devi essere Autenticato per scrivere un commento