Il discorso del re

Apr 24th, 2013 | Di cc | Categoria: Politica

di Edoardo Barra

 

 

 

Ha parlato. E sono state parole dure e senza incertezze quelle di Giorgio Napolitano. L’emozione di alcuni passaggi non ha sminuito l’asprezza e la forza di un discorso che passerà alla storia come la più severa sferzata data alla classe politica dal dopoguerra a oggi.

Hanno applaudito. Gli sconfitti, quegli stessi personaggi prigionieri di mille veti, quelli che Napolitano ha denunciato come incoscienti attori di una “contrapposizione faziosa e aggressiva” portata “fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile”. Alzandosi in piedi hanno omaggiato chi li stava definendo affetti “da una sorta di orrore per ogni ipotesi d’intese, alleanze, mediazioni”.

Sì, battevano le mani ai loro limiti, ammettendo, in tal modo, le proprie colpe di fronte ad un Paese che, attonito, valutava la fortuna d’avere un giovanotto di ottantotto anni impegnato a salvare quello che rimane di un sistema politico ridotto a brandelli per la manifesta incapacità di porre la Nazione prima degli interessi di bottega.

Un discorso a tratti violento, diretto, brutale, un parlare senza diplomazia. Ogni sillaba era un macigno lanciato verso chi era seduto a quegli scanni. “Quanto è accaduto qui nei giorni scorsi – ha detto a voce ferma – ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e d’irresponsabilità”.

Era il popolo che finalmente trovava la voce e lanciava un j’accuse di rara portata verso i colpevoli di questo stato di cose. Giorgio Napolitano, mai come questa volta, ha dato fiato alla disperazione della gente comune: non si condannano solo i corrotti, ma anche chi ha guardato senza far nulla per cambiare.

E’ stata una lezione per tutti. Un grido di allarme terribile. Un disperato appello a riprendere insieme la strada delle riforme e del buon governo. Le differenze di vedute devono esserci, sono persino necessarie, ma non devono significare l’abbandono del “metodo democratico”. Non vi è giustificazione per chi cerca lo scontro e la polemica solo per creare una contrapposizione tra piazza e Parlamento. In tal modo non ha risparmiato nessuno Re Giorgio, il dito è stato perennemente puntato verso l’emiciclo.

Adesso tocca ai partiti. Napolitano accettando l’incarico ha garantito alle formazioni politiche l’ennesima occasione di riprender il pallino del gioco. D’altro canto ha sgombrato il campo anche da ipotesi surreali: “Al Presidente non tocca dare mandati, per la formazione del governo, che siano vincolati a qualsiasi prescrizione se non quella voluta dall’art. 94 della Costituzione: un governo che abbia la fiducia delle due Camere” e ha continuato “qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità d’intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, l’esigenza d’intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale”.

In pratica ha dettato le modalità della soluzione della crisi. Ma non è stato un padre che consiglia. No, ha chiaramente affermato che, laddove dovesse trovarsi “di nuovo dinanzi a sordità come quelle cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese”. Uno scenario questo che si rivelerebbe apocalittico per la Nazione e per la stessa tenuta democratica.

Giorgio Napolitano oggi è il Presidente di tutti gli italiani. Non solo di quelli che l’hanno applaudito in Parlamento, ma delle persone che mentre parlava erano impegnate nella lotta di ogni giorno. Lo ha dimostrato così, con il suo essere lì a cercare di fermare una deriva che può mettere a rischio la democrazia, una deriva di cui, purtroppo, ancora non tutti sono coscienti.

Edoardo Barra

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