“QUANTA CURA IN CORDIBUS NOSTRIS”

Mar 6th, 2013 | Di cc | Categoria: Religione

UNA ENCICLICA SCRITTA DA BENEDETTO XVIII. UN PAPA DEL

FUTURO DIETRO IL QUALE SI CELA LA RAFFINATA TEOLOGIA

ECCLESIALE DI ARIEL S. LEVI DI GUALDO

Cecco Angiolieri, poeta toscano del XIII secolo, in una sua celebre rima motteggia: «S’io fossi papa arderi il mondo / s’io fossi vento lo tempesterei / s’io fossi imperator sa che farei / a tutti mozzerei lo capo a tondo». Che all’interno della struttura amministrativa della Chiesa sia giunto il momento di “mozzare” alcune teste, pare sempre più un’evidenza mutatasi oramai in una vitale necessità dinanzi all’evento storico appena consumato: la rinuncia al soglio pontificio di Benedetto XVI, che senza mezze frasi ha detto e ripetuto di non avere più le necessarie forze fisiche per reggere una situazione che appare sempre più fuori controllo.

 

Il sacerdote e teologo Ariel S. Levi di Gualdo, quando tra il 2011 e il 2012 scriveva “Quanta cura in cordibus nostris” (Quanta premura nel nostro cuore), Enciclica in forma di motu proprio promulgata da un papa del futuro eletto nel conclave del marzo 2023 al quale ha dato il nome di Benedetto XVIII, non poteva immaginare gli eventi che avrebbero scosso la Chiesa a inizi febbraio 2013. Attraverso questa Enciclica l’autore torna anzitutto a manifestare il suo profondo attaccamento al magistero e alla dottrina della Chiesa, di cui analizza l’attuale stato di decadenza dando concrete risposte e soluzioni con questo atto di “magistero pontificio”.

 

Che il documento sia “falso” è evidente, in quanto scritto da un pontefice inesistente in anni lontani da venire; che però i contenuti di questo impeccabile “atto di magistero” siano autentici, attuali e per certi versi parecchio allarmanti, è altrettanto evidente.

 

L’Enciclica, in distribuzione dalla fine di febbraio, è pubblicata da Bonanno Editore, come tutte le opere di don Ariel che dirige presso questa operosa casa editrice la collana teologica “Fides quaerens intellectum”.

 

Quanta cura in cordibus nostris è composta da un preambolo e sei sezioni. Nella prima parte si delineano i criteri di una corretta formazione al sacerdozio che sia compatibile con la realtà storica, sociale ed ecclesiale contemporanea. Segue la parte dedicata al ministero dei vescovi e quella dedicata ai sacerdoti incentrata principalmente su Liturgia e Sacramenti.

 

Molto articolata e non poco provocatoria la parte dedicata a una prima riforma strutturale della curia romana, dove sono abbozzate le linee per la sua riorganizzazione. Il Pontefice Benedetto XVIII introduce questo schema di riforma scrivendo: «Le tradizioni e i privilegi anacronistici, in modo particolare quelli incompatibili con la odierna società civile ed ecclesiale, si aboliscono tramite un’azione di estirpazione, affidandone il dovuto e grato ricordo alla storia. Non si trasformano per lasciarli sostanzialmente in piedi, dopo averli mutati apparentemente in altro. Perché questo è ciò che in parte è accaduto all’interno della Chiesa, di tentativo in tentativo di riforma: trasformare la forma esterna senza però intaccare la sostanza che la muove».

 

In queste ultime settimane, il precedente libro di don Ariel “E Satana si fece Trino” (2011) ha suscitato interessi e dibattiti anche sulla stampa europea, americana e sudamericana, che ha dedicato commenti e varie interviste all’autore. Dopo un primo momento di silenzio, forse anche di imbarazzo per i temi trattati in questo libro tanto scomodo quanto approfondito, all’autore è stata infine riconosciuta una lucida capacità di analizzare i fatti e gli eventi in anticipo sui tempi, per esempio per quanto riguarda il fenomeno della «omosessualizzazione della Chiesa» e della «potente lobby gay» che «spadroneggia al suo interno» e di cui don Ariel scriveva già anni addietro, pagandone spesso anche prezzi molto alti a livello personale, come purtroppo spesso accade quando si vanno a toccare meccanismi di tipo “mafioso”. Don Ariel affrontava infatti certe tematiche quando ancora vigevano “prudenti” silenzi e non poche coperture omertose, in momenti nei quali nulla ancora si sapeva circa le complesse inchieste affidate in seguito da Benedetto XVI a tre anziani cardinali, che nei loro dossier hanno raccolto le prove di una situazione di allarmante degrado ecclesiale, molte delle quali scritte e anticipate da don Ariel nello scomodissimo secondo capitolo del suo libro edito nel 2011, nel quale illustra i meccanismi strutturali della potente lobby gay che si è insediata dentro la Chiesa. Se quindi la sua opera “E Satana si fece Trino” è stata l’analisi di una situazione di decadenza ecclesiale giunta oggi a uno stato di grande degrado, l’Enciclica ”Quanta cura in cordibus nostris” di Benedetto XVIII contiene la risposta, ma soprattutto la medicina per i mali che stanno «divorando il corpo della Chiesa».

 

Nel prologo all’Enciclica questo pontefice del futuro scrive parole che oggi pesano più che mai: «Non possiamo rimanere inerti e immobili, poiché animati da un’idea falsa di misericordia e da un’idea altrettanto falsa di carità che non trovano fondamento alcuno nel sacro deposito della divina rivelazione, dove in nome della vera misericordia e della carità perfetta si è chiamati all’occorrenza ad amputare arti infetti, evitando così che possano diffondere cancrena e porre a rischio la salute del corpo intero. Il metodo per sanare il corpo ammalato della Chiesa, che sin dalla sua nascita deve combattere col mistero del male che accompagna l’uomo sin dall’alba dei tempi, ci è indicato dalle parole dello stesso Signore Gesù: “Se il tuo occhio destro è motivo di scandalo cavalo e gettalo via da te” (Mt. 5, 29-30). Di questa pagina non va eluso il senso vero e profondo, perché amorevolezza e carità evangelica risiedono nella verità e nella giustizia che trae divino fondamento dall’evento storico, reale e fisico del Dio incarnato, morto e risorto. Soprassedere su degli arti gravemente infetti non è senso di amorevolezza, non è senso di carità. È dannosa e omissiva mancanza di vera carità, per la quale saremo chiamati e rendere seriamente conto a Dio. Ecco allora che la decisa amputazione finisce con l’essere e col divenire l’atto più perfetto di carità, per il bene del corpo della Chiesa e delle membra vive del Popolo di Dio. Questa è la strada che Noi intendiamo seguire in questo particolare momento storico, per la salute e la salvezza della Chiesa chiamata per sua istituzione divina e vocazione a essere strumento di salvezza tra gli uomini ».

 

Nell’immagine di copertina campeggia lo stemma pontificio di Benedetto XVIII in cui risalta un leone in piedi col pastorale pontificio e il motto sottostante: «l’autorità e sempre carità».

 

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Ariel Stefano Levi di Gualdo (19.08.63) allievo del teologo gesuita Peter Gumpel, è presbitero della diocesi di San Marino-Montefeltro ed è consacrato sacerdote a Roma dove attualmente vive. È direttore editoriale della collana teologica Fides quaerens intellectum della Bonanno Editore presso la quale cura con particolare dedizione opere di giovani teologi emergenti di sana dottrina cattolica. Svolge il ministero di predicatore, confessore e direttore spirituale. Dal 2012 diverse sue pubblicazioni cominciano a essere diffuse anche fuori dall’Italia. È autore di Erbe Amare (2007), Nada te Turbe (2009) E Satana si fece Trino (2011), Quanta cura in cordibus nostris (2012).

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