Il Coraggio di un addio

Feb 21st, 2013 | Di cc | Categoria: Religione

Che Joseph Aloisius Ratzinger non fosse un prelato qualunque si era capito quando il 25 novembre 1981 Papa Giovanni Paolo II lo nominò Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, di fatto custode del magistero cattolico.

Da allora, spesso nell’ombra, è stato uno degli uomini più determinanti di quello che la storia ricorderà come tra i più luminosi papati moderni.

Le sue posizioni, ben conosciute in Vaticano, si manifestarono alle folle proprio durante l’omelia della messa funebre di Giovanni Paolo II con il suo duro attacco al relativismo e ai rischi che la Chiesa correva nel seguire strade che potevano condurre lontano dalla Fede.

 La stessa scelta di Benedetto, come nome da Pontefice, richiamava la necessità di rappresentare una figura che riuscisse a guidare la Chiesa in un momento drammaticamente difficile sia per le contingenze storiche, sia per le difficoltà moderne di riconoscere la fede come elemento di aggregazione piuttosto che di divisione.

Riprendeva, di fatto, il cammino ecumenico segnato dal predecessore caratterizzandolo con la necessità di trovare in Dio l’elemento che liberasse l’uomo dalla prigione determinata “dall’apparenza di libertà” cui aspira il mondo moderno.

            Questa convinzione ha segnato il suo pontificato, un gladiatore pronto a difendere la tradizione ma senza disconoscere il valore della ragione.

            Tali aspetti avevano disegnato nell’immaginario collettivo una figura quasi inossidabile, ferma nelle proprie convinzioni e determinata a portare avanti il proprio disegno sino alla fine.

            Proprio per tali motivi le dimissioni hanno lasciato sbigottito il mondo. Ma Ratzinger è comunque un uomo, un uomo conscio dei propri limiti e di ciò che lo circonda.

I problemi che hanno scosso la Chiesa in questi anni, le pressioni che il ruolo comporta, la velocità necessaria che oggi un Pastore deve avere nel seguire il proprio gregge, l’ha portato verso un’analisi impietosa del suo essere nei confronti del proprio compito.

Giovanni Paolo II riteneva che “non si scende dalla croce” e ha manifestato al mondo la forza nel dolore e il dolore necessario per avere forza, Benedetto XVI con le proprie dimissioni ha invece ostentato senza alcuna vergogna i propri limiti attraverso la cognizione di quanto sia necessario affrontare adeguatamente le sfide che si profilano per la Chiesa.

Due modi diversi, ma forse anche complementari, di rivelare la consapevolezza del proprio compito.

L’annuncio delle dimissioni è l’estremo atto d’amore per la Chiesa e per il proprio ministero, così come lo è stato per Giovanni Paolo II battere il pugno sul davanzale della finestra aprendo al mondo la sua sofferenza.

Di certo, Benedetto XVI ha valutato con estrema attenzione il suo gesto. Il pensiero delle dimissioni albergava da mesi nel suo spirito, e sono state annunciate al mondo scegliendo con cura tempi, modi e soprattutto parole.

In quelle poche righe, lette con la calma della determinazione e l’emozione della consapevolezza ha racchiuso tutto il pragmatismo della sua Fede. “Le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.”

Si apre, adesso, per la Chiesa un momento delicatissimo. Oltre alle problematiche di tipo procedurale, che comunque saranno risolte, rimane la questione del peso del gesto e dei risvolti che potrà avere.

Ora alla guida della “barca di San Pietro” servirà un uomo che riesca a essere un Pastore capace di dialogare con segmenti anche molto lontani dal cattolicesimo ma che, nello stesso tempo, sia in grado di mantenere fermo il timone sulla rotta tracciata dai suoi predecessori.

La Chiesa non va rifondata, ma “purificata” dalla tentazione di rincorrere ad ogni costo la confusione del mondo d’oggi.

Una guida che richiederà “vigore, sia nel corpo, sia nell’animo”, capace di essere faro pastorale mantenendo uno stretto contatto con la realtà, respingendo le pressioni cui sarà sottoposto e sopportando il peso di un’inevitabile solitudine.

Il gesto di Ratzinger non ha voluto segnare, ne sarà un modo “nuovo” di intendere il pontificato. Non vi possono essere pregiudizialmente incarichi a termine in un ambito tanto delicato e spirituale.

Le dimissioni sono state un atto deciso nell’intimo rapporto della propria coscienza “davanti  a Dio”, senza alcuna velleità d’indicare una strada. E’ qui l’ennesima lezione di Benedetto XVI e il suo grande coraggio.

Edoardo Barra

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