ANTIPOLITICA, CORRUZIONE E PRECARIATO. È IL NOSTRO UN PAESE GIUSTO?
Gen 15th, 2013 | Di cc | Categoria: Politica
I mercatisti sostengono che l’idea del libero mercato è stata inquinata se non sequestrata dall’affarismo che ha alterato l’equilibrio della democrazia.
I moralisti affermano che la corruzione e il clientelismo hanno derubato il nostro paese di gran parte delle sue potenzialità di crescita economica e dei grandi benefici che può ricavarne, sottraendo ai cittadini le motivazioni per impegnarsi nel lavoro.
Ancora più aggressive le accuse dell’antipolitica che denuncia una serie di fattori regressivi: il deterioramento di un’etica collettiva, la desertificazione di ogni panorama valoriale, la proliferazione di una classe dirigente rapace e disonesta. A ciò si aggiunga la diffusa denuncia di comportamenti spregiudicati ed indifferenti rispetto al bene comune da parte di coloro che, con arroganza ed inconsapevolezza, si schermano dietro un pensiero che assumono vincente. Sotto diverso aspetto si argomenta, però, che non sono esenti da precise responsabilità coloro che accettano di collaborare e compartecipare agli interessi di politici non stimati per pura convenienza. E ciò con l’accettazione di affari di dubbia committenza e il pagamento di tangenti per ottenere favori.
È questo un quadro valutativo esagerato o è la pura verità?
Certamente si presenta inarrestabile la disonestà e la corruzione nel nostro Paese. Fenomeno diffuso anche in Europa. Sono clamorosi i dati dell’eurobarometro che ha raccolto le opinioni a questo proposito di un campione di 26.856 persone nei 27 Paesi dell’Unione europea. I risultati sono di agghiacciante durezza: la maggioranza degli europei è convinta che la corruzione sia un grosso problema nel proprio Paese, lo dichiara il 74% degli intervistati, dato che per l’Italia sale all’87%. Circa la metà dei cittadini europei ritiene che la corruzione negli ultimi tre anni sia aumentata (47%), ma per l’Italia tale percezione sale al 56%. Il dato fa ancora più riflettere se si pensa che nella media dell’Ue a 27 ci sono anche Paesi in cui il processo di sviluppo è stato storicamente rallentato da varie forme di corruzione e ridotta democrazia. La corruzione è vista come una piovra (la metafora è abusata, ma non casuale) che allunga i tentacoli in tutti gli interstizi del sociale, nelle istituzioni nazionali, in quelle regionali e locali, nella cultura imprenditoriale: gli italiani registrano tale fenomeno sempre in misura maggiore di 15-20 punti percentuali rispetto alla media europea.
E non si tratta solo di percezioni: il 46% degli italiani, contro il 29% della media Ue, afferma di essere personalmente colpito dalla corruzione nella vita quotidiana; il dato si ridimensiona molto, ma prende anche più ansiogena concretezza, quando alla domanda “negli ultimi 12 mesi, qualcuno le ha chiesto o si aspettava da lei che pagasse una tangente per i servizi resi?” il 12% in Italia contro l’8% nei 27 Paesi europei risponde affermativamente. Andando ad approfondire ulteriormente i dati, emerge un risultato ancora peggiore: la corruzione è legata alla criminalità organizzata pèr quasi l’80% degli italiani contro il 57% della media Ue.
Ora, a parte le indicate percentuali, la corruzione è uno dei principali mali del Paese e si intreccia con problemi sociali che riflettono la disoccupazione e la precarietà del lavoro.
Da una parte c’è chi ruba e profitta del denaro pubblico; dall’altro lato c’è chi soffre e si danna per la propria povertà.
Al centro c’è la società civile che è, in gran parte, onesta ed operosa.
De Guy Standing, docente di Economic Security nell’Università di Bath, Inghilterra, nel suo libro “Precari. La nuova classe esplosiva”, fa rilevare che al precariato mancano sia le libertà che le tutele più elementari. Come scrive Kierkegard, la libertà si accompagna sempre ad un sentimento di angoscia. Tutto ciò rischia di tramutarsi nella predisposizione a ogni tipo di paura incontrollata e nell’incapacità di attenersi ad un pensiero ragionevole che tende a sviluppare una narrazione coerente riguardo alla propria esistenza e alla propria identità.
La situazione angosciosa del precario viene ad intensificarsi in presenza di fenomeni di “mala gestio”, di degrado morale ed ambientale, di affarismo, di clientelismo, di corruzione.
Il lavoratore precario è animato da sentimenti di rabbia e di amarezza laddove vede governi salvare banche e amministratori delegati responsabili del crack economico.
Tanto più se il precario è tale anche se ha una laurea che vede vanificata dalle cattive regole del mercato del lavoro.
Un precariato intellettuale, una disoccupazione intellettuale che protesta a viva voce per le coltivate aspirazioni non realizzate per colpa di un sistema che tende a penalizzare i bravi e gli onesti. E ciò, nonostante le prediche altamente istituzionali di coloro che, pur non facendo nulla per cambiare il sistema, ammoniscono il potere e la politica di cambiare ed assumere comportamenti etici ed ugualitari.
Maurizio de Tilla
Presidente dell’Associazione L.P.I.