Ilva, pagano i lavoratori e il Paese

Nov 28th, 2012 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale

Quanti posti di lavoro sono a rischio per il caso Ilva? All’inizio si era parlato di 5 mila a Taranto, più l’indotto: si trattava però degli addetti all’area più inquinante. Ora che la magistratura ha disposto il sequestro non solo degli impianti, ma dell’intera produzione passata, presente e futura, i conti cambiano in misura esponenziale e drammatica. I dipendenti tarantini salgono a 11.500 più 3.000 dell’indotto. Il blocco della produzione riguarda poi 1.760 dipendenti dell’acciaieria di Genova rifornita dall’Ilva di Taranto e 1.200 in Piemonte. Ma la siderurgia è un ciclo integrato dalla produzione agli scarti: secondo la Confindustria rischiano il posto, in tempi brevissimi, 25 mila lavoratori. Non solo. Il presidente Giorgio Squinzi dice che con un simile precedente giudiziario “nessun investitore straniero metterà più piede in Italia e quelli che ci sono prenderanno la via dell’estero: si tratta di 100 mila posti di lavoro in tutta Italia“. Più le relative famiglie.

In altri termini, la disoccupazione, che in questo ultimo anno sta salendo all’11 per cento potrebbe arrivare rapidamente al dodici. Avvicinandoci sempre più ai paesi in crisi del profondo Sud. E a quel punto sarà inutile, anzi controproducente, aver firmato prontamente il fiscal compact, rassicurato la Germania su tutti i fronti, promesso il pareggio di bilancio. Solo con una politica di conti pubblici e tasse non si lavora, non si mangia, e ovviamente non si consuma. Per questo la sottovalutazione del problema da parte del governo è ancora più evidente.

Il problema dell’Ilva è stato delegato al ministro dell’Ambiente Corrado Clini: non poteva da solo opporsi al protagonismo della magistratura, alle iniziative spesso discutibili dell’azienda e alle ambiguità dei sindacati, Cgil in testa. Che sull’Ilva ha scelto una linea ben diversa rispetto a quella durissima adottata per la Fiat (dove è stata tirata in ballo la Costituzione), lasciando da soli gli operai di Taranto a chiudersi dentro i cancelli. Totalmente assente il ministero dello Sviluppo - Corrado Passera è in Cina - soltanto ora ci si è decisi a portare il caso Ilva a palazzo Chigi, riconoscendone quindi il carattere nazionale del problema. Come del resto si fa in ogni parte d’Europa e del mondo, se Francois Hollande minaccia la nazionalizzazione dello stabilimento Arcelor nella Mosella. E del resto le leggi ambientali italiane sono più restrittive di quelle europee, e nella Ue è un procedimento standard, l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) a decidere l’apertura e la chiusura delle produzioni. Se si fa costantemente riferimento all’Europa perché stavolta no? Sull’Ilva sono tutti in ritardo, e molti hanno anche la coscienza sporca. Il governo, che perso dietro alla Germania, si muove soltanto ora. La Cgil che ha preferito mobilitarsi per due anni per 19 operai di Pomigliano ma non per le decine di migliaia dell’Ilva. La sinistra nazionale e locale, con il governatore della Puglia Nichi Vendola che si occupa esclusivamente del ballottaggio del centrosinistra (negoziando posizioni di potere) e dei diritti del gay. Infine la magistratura non può agire come se si occupasse di un reato minore e non di un problema nazionale per il destino industriale dell’Italia, per il lavoro e per quello che la sinistra da salotto chiama, quando vuole, il bene comune.

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