La rabbia di chi non vede futuro

Nov 16th, 2012 | Di cc | Categoria: Politica

C’è poco da fare. Quando le crisi sociali arrivano ai livelli di guardia i primi, preoccupanti, segnali sono determinati dalla violenza a contorno di manifestazioni con caratterizzazione studentesca.

Alla mobilitazione del 14 novembre indetta dalla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) “per il lavoro e la solidarietà contro l’austerità” si è, infatti, immediatamente associata la protesta degli studenti, dando così una decisa caratteristica giovanile ai cortei.

Ma non è stato certo questo elemento a determinarne la brutalità, come pure non basta rilevare la presenza di frange di facinorosi, allenati allo scontro, per giustificare quanto accaduto contemporaneamente in tante piazze italiane.  

No, esiste qualcosa di profondo che genera il caos e che è destinato a procurarne ancora.  

A leggere il resoconto dell’altro giorno sembra d’essere al cospetto di un bollettino di guerra: feriti, arresti, persone fermate, cariche della polizia, sassaiole, vetri rotti, lacrimogeni.

Uno scenario da incubo che impone una profonda riflessione su ciò che sta accadendo non tralasciando di rivolgere lo sguardo a un passato non  troppo lontano.  

Anche la polemica circa le cariche delle forze dell’ordine, giuste o sbagliate che siano, è forviante essendo queste ultime solo un aspetto della questione dove, tra l’altro, offesi e offensori sono vittime della stessa logica.

Non dimentichiamo come accanto alle masse di giovani che hanno risposto all’appello, abbiamo visto operai, cassaintegrati, disoccupati, gente comune, un mix eterogeneo portatore di un malessere profondo che non trova risposte adeguate.

E qui il vero nodo del problema.

Il ministro Cancellieri ha detto che nelle ore di guerriglia “l’Italia bolliva”. Credo che l’errore non sia nel termine usato, ma nel tempo. L’Italia, caro Ministro, non bolliva solo in quei momenti, lo fa tuttora: per le strade, nei supermercati, tra la gente che va a fare la spesa, tra chi torna a casa senza lavoro, tra i giovani che sono gli occhi del futuro e davanti non vedono che buio.

Come potrebbe essere altrimenti di fronte ad una disoccupazione giovanile che cresce a ritmo serrato, alle aziende attanagliate da problemi di sopravvivenza, alle migliaia di posti di lavoro persi, agli interessi finanziari che dominano su tutto, al palese fallimento di un’Europa portatrice di tante illusioni, alla difficoltà delle famiglie ad arrivare a fine mese.

In un panorama del genere non c’è nessuno che indichi la strada. Anzi, assistiamo alla degenerazione della politica. Siparietti che sanno di muffa, palazzi del potere lontani anni luce dal paese reale, scimmiottamenti di teatrini che fanno parte di altre culture, ladri che si difendono dicendo: “è stato sempre così” e infine le chiacchiere, tante chiacchiere, solo chiacchiere.

Una follia che genera il nulla e lascia a qualcuno la possibilità di giocare un drammatico Monopoli.

E la risposta a questo vuoto non può che scatenare incomprensione e violenza.

E’ una storia già vista.

Il ragazzo con la pistola immortalato in una drammatica foto degli anni ’70 rappresenta, nel suo orrore, l’emblema della parte paradossalmente più debole di una generazione che gridava la sua rabbia.

In modo sbagliato, senza dubbio, ma quel grido coagulò una massa eterogenea d’interessi che seppure strumentalizzati, provocarono anni difficili da dimenticare.

Quel grido oggi pare di risentirlo e in mancanza di risposte concrete e di speranza può trasformare la rabbia di chi non vede futuro in una nuova terribile notte della repubblica.

  Edoardo Barra

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