IL CASO SALLUSTI E L’INGABBIAMENTO DELL’INFORMAZIONE
Nov 6th, 2012 | Di cc | Categoria: Politica
In un mondo spesso diviso, quello del giornalismo, una volta tanto l’accordo si è trovato. Federazione della stampa, Ordine dei giornalisti e alcuni direttori delle più importanti testate del nostro Paese sono d’accordo nel ritenere che il ddl diffamazione, o meglio “salva Sallusti” dal carcere, come sta prendendo forma in Parlamento, è un attentato alla libertà di stampa. Una sorta di vendetta rancorosa verso il mondo dell’informazione. Insomma, si prova a liberare il direttore de “il Giornale” e s’ingabbiano i giornalisti italiani con una serie di norme che se varate d’amblè porterebbero indietro di cent’anni l’esercizio della professione giornalistica. Difronte a questo tipo d’unità si potrebbe obiettare che la casta dei giornalisti, come tutte le caste, si difende, non vuole “lacci e lacciuoli”. In verità, nell’incontro organizzato dalla Fnsi, in occasione della giornata ‘Stand up for journalism’, dedicata quest’anno al tema: ‘Il giornalismo è un bene pubblico: autonomia e pluralismo’, non sono mancate le critiche, proprio dagli addetti ai lavori, su come spesso si fa informazione in Italia.
Manganello e randello a volte prendono il posto del ragionamento pacato fatto in buona fede da parte di chi scrive, disorientando l’opinione pubblica e mortificando la libera informazione. Facendo un danno incalcolabile sulla “credibilità del prodotto” da parte del lettore. E spesso nelle redazioni prevale la “subcultura” della rettifica che non la cultura dell’informazione. In altre parole si sparano notizie o ragionamenti campati in aria (meglio interessati), nell’ottica che poi la rettifica diventerà il salvagente a cui aggrapparsi. E questo modo di fare (non) giornalismo lo si pratica soprattutto quando si vogliono colpire avversari politici o d’opposti interessi. In casi del genere abbondano le falsità che non si possono ascrivere alla categoria delle opinioni e, comunque, vanno punite con rigore. Non con il carcere però. Attenzione a pensare che certe malattie che l’informazione ha vengono solo da una parte politica o solo da interessi ben individuati. Il male della disinformazione interessata ha padri e madri in tutti gli schieramenti, siano essi di sinistra, di destra, di centro.
Come voltare pagina? Forse la cosa più giusta da fare in questo momento, tenuto anche conto dei tempi strettissimi che il Parlamento ha per il varo del ddl diffamazione, è quello di trovare solo una formula per l’eliminazione del carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa. La sanzione pecuniaria è già un buon deterrente. Il nuovo Parlamento dovrà poi mettere mano in modo non emotivo, né vendicativo a modificare le norme sulla diffamazione a mezzo stampa e sulla tutela dell’esercizio della libertà d’informazione. Ma anche a modificare la legge che istituisce l’Ordine dei giornalisti. Alcune proposte sulle questioni in parola già sono state avanzate in modo unitario dall’Ordine e dalla FNSI. La nascita di un giurì per la lealtà e l’informazione, ad esempio, estraneo alla sfera dei poteri pubblici e privati, capace d’intervenire nell’immediatezza per ristabilire dignità violate da “orrori” di stampa non altrimenti riparati.
Soprattutto, però, ci deve essere il rapporto di lealtà – anche nell’errore - tra il giornalista ed il lettore. E questo non si conquista con nessuna norma legislativa. Il lettore capisce quando il giornalista ciurla nel manico e volta le spalle. Di aforismi sui giornalisti ne girano tanti. Forse quello che più deve far riflettere il mondo dell’informazione è, a mio avviso, questo: “Si leggono i giornali nello stesso modo come si ama: con una benda sugli occhi. Non si cerca di capire i fatti. Si ascoltano le dolci parole del caporedattore come si ascoltano le parole della propria amante” (Marcel Proust). A me sembra che dai tempi di Proust qualcosa sia cambiato, peccato che noi giornalisti non ce ne siamo accorti.
Elia Fiorillo