IL CETO MEDIO SI DEVE UNIRE POLITICAMENTE CONTRO I POTERI FORTI

Nov 4th, 2012 | Di cc | Categoria: Politica

Il ceto medio è, letteralmente, il ceto che sta in mezzo, fra le classi basse e le classi alte. Questo nel significato più ristretto del termine. Nell’accezione più lata può indicare genericamente quegli strati sociali che occupano una posizione intermedia nella distribuzione della ricchezza, del potere e del prestigio in una società.

Se nell’ottocento la borghesia era una classe intermedia, ma numericamente non dominante, nel secondo novecento il ceto medio è diventato la classe dominante numericamente, ed anche politicamente (almeno nelle democrazie occidentali).

Il ceto medio rappresenta anche la parte statisticamente più rilevante della popolazione dei paesi occidentali. Proprio perché medio è anche il gruppo più popoloso, mentre le code della distribuzione (molto poveri e molto ricchi) sono numericamente meno rilevanti, ovviamente nel mondo occidentale. Da questo deriva la particolare importanza politica (come bacino di voti) di questa classe sociale. Dalla prospettiva della politica gli appartenenti al ceto medio sono visti essenzialmente come “elettori”.

Il ceto medio è considerato come l’area centrale dello spazio elettorale, quella in cui tendono a collocarsi gli elettori moderati, il voto dei quali è considerato determinante.

Proprio per queste ragioni, forse si può intendere anche che l’essere medio significhi anche fare media in termini di opinione.

L’importanza del ceto medio è venuta nel tempo progressivamente aumentando. Spesso gli è però mancata la consapevolezza di questa sua importanza e del suo preciso ruolo nella società moderna.

Nell’attualità il ceto medio italiano raggruppa le categorie dei professionisti e dei piccoli imprenditori, ma anche dei dirigenti e di parte del ceto impiegatizio, docente ed intellettuale.

L´Italia ha una quota di occupazione indipendente (o lavoro autonomo) molto alta (circa il 26,4% dell’occupazione totale nel 2006) più elevata di qualsiasi altro paese europeo.

In tutta l’Europa si è sviluppato un ceto medio attivo nelle professioni, nel terzo settore, ma anche tra gli insegnanti e gli studenti, gli impiegati direttivi e di concetto del settore pubblico, i nuovi operatori nel mondo dell’informazione e della cultura. Ad ingrossarne le file è stato un numero sempre crescente di donne alla ricerca di un lavoro adeguato al­la loro professionalità.

La verità è che nei tempi recenti i paesi occidentali non sembrano più capaci di sostenere come in passato le aspirazioni diffuse a una piena cittadinanza sociale, vale a dire a una condizione di ceto medio nella quale la maggioranza della popolazione era arrivata a identificarsi, accessibile anche a strati sociali inferiori. Si rilevano con sempre maggiore intensità segnali di difficoltà relativi a livelli di consumo, capacità di risparmio, ammontare del patrimonio, comparando dati per classi sociali, tipi di famiglia, età. Una consolidata sequenza di ingresso nella vita adulta ha caratterizzato sino ad oggi le possibilità: conclusione degli studi, accesso al lavoro, soluzione al problema della casa, matrimonio, procreazione.

Oggi non è più così. Quella sequenza è meno praticabile e i tempi si sono allungati e gli obiettivi difficilmente raggiungibili. Il fatto è che oggi, in presenza di un welfare squilibrato a favore dei padri come quello italiano, quasi solo chi può contare su una famiglia sufficientemente robusta riesce a gestire la fase iniziale e più precaria di carriere appetibili, a restare nel ceto medio o a diventarlo.

Nelle manovre economiche che si sono susseguite è il ceto medio a risentire gli effetti più pesanti. La forte pressione fiscale, le liberalizzazioni selvagge, gli attacchi della stampa e dei mass media, la impropria qualificazione come caste delle componenti pro­fessionali e imprenditoriali, le prospettate azioni di esproprio nei confronti della previdenza privata costi­tuiscono fondate ragioni di malcontento se non di rivolta.

Dai discorsi degli esponenti della politica si avverte che la fascia di elettorato moderato non è più rappresentata politicamente. Il ceto medio pone delle domande sulle prospettive di vita e di lavoro. Ma non riceve alcuna risposta della politica anche perché distratta dalle impellenti esigenze di autoconservazione che sono fortemente messe in crisi dai più recenti eventi.

La reazione del ceto medio non deve tardare per un radicale rinnovamento della politica, gettando le basi per la creazione di una nuova classe dirigente.

Il ceto medio – e segnatamente i professionisti e i piccoli e medi imprenditori – devono uscire dal torpore e dall’inerzia, liberandosi da un pessimismo strisciante sul proprio futuro e rimettendosi nuovamente in gioco.

Il ceto medio è ancora detentore di un capitale sociale e culturale. Crede fermamente nella legalità del Paese, nello Stato di diritto, nella lotta alla criminalità organizzata, nella lotta alla speculazione di ogni tipo e, soprattutto a quella finanziaria, nel dovere civico di abbandonare qualsiasi istanza di clientelismo e assistenzialismo. Il tutto in nome di una effettiva cittadinanza ed uguaglianza.

Per affrontare il necessario cambiamento è giunto il momento di riorganizzare i corpi intermedi all’insegna di un libero movimento che coinvolga professionisti, imprenditori, intellettuali ed espressioni della società civile. Per contrastare l’egemonia della politica la quale, alimentata da giornali e televisioni, preferisce intrattenere relazioni con il grande capitale e le grandi banche.

 

 

 

Maurizio de Tilla

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