GLI SFIGATI E I MERITEVOLI, OVVERO: I SOMMERSI E I SALVATI.

Giu 18th, 2012 | Di cc | Categoria: Politica

Per affrontare uno spettro che si aggira per l’Italia:la meritocrazia, prendiamo spunto dall’infortunio in cui è incorso un esponente del Governo Monti, definendo i giovani che si laureano fuori corso come degli “sfigati”.

Premettiamo un breve chiarimento del significato ordinario  del termine “merito”. Il concetto di merito è legato al possesso di requisiti che danno titolo a un riconoscimento o a una ricompensa (materiale o simbolica che sia). Tali requisisti devono corrispondere a criteri di equità e di oggettività (il merito deve essere giusto ed effettivo), che sono solitamente collegati alle capacità o ai servigi resi. Quest’ultimo, quello dell’opera compiuta, sembra il criterio dominante nel discorso comune. Difatti meritarsi qualcosa ed essersela guadagnata sono espressioni sinonimiche / e anche l’etimologia di merito rinvia all’essersi “guadagnata” una cosa). Così si può dire :”se l’è meritato”( che però vale sia in senso positivo che negativo).

Sulla base di questa rapida analisi, possiamo azzardare una caratterizzazione del concetto di merito un po’ meno imprecisa. Il merito consiste nell’aver reso una prestazione adeguata rispetto ad un certo criterio o esigenza e nell’essersi perciò guadagnato un certo riconoscimento. In altri termini, esso non sebra identificabile con la capacità considerata in astratto, bensì con la capacità espressa in una prestazione all’altezza del compito, e come tale sembra includere anche l’impegno profuso per realizzare tale prestazione. Così, un’ipotetica formula del merito avrebbe una forma di questo tipo:

                                                 Merito?Prestazione adeguata?( Capacità, impegno)

Alla luce di ciò, i meritevoli sarebbero i capaci e impegnati, gli “sfigati” gli incapaci o lavativi.

Appoggiandoci su questa sommaria caratterizzazione, avanziamo qualche rapida riflessione in ordine ai fattori del merito e la legittimità come criterio di giustizia ( la meritocrazia).

Partiamo dalla capacità. La concezione della capacità come mera dote naturale è ormai superata, e tra l’altro non si vede quale merito si avrebbe se fosse il frutto di una lotteria genetica (tutt’al più si potrebbe parlare di fortuna). Il vero problema è quello di costruire ambienti formativi in grado di stimolare adeguatamente lo sviluppo delle capacità, e solo quando questa stimolazione è stata ottimale per tutti diventa plausibile ipotizzare che eventuali differenze possano avere una radice naturale.

Com’è ampiamente noto, sussistono invece diseguaglianze sociali tali da incidere in maniera rilevante sulle possibilità di sviluppare le proprie capacità.E rispetto a ciò, non solo non vi è un merito particolare nell’essere nato in un contesto sociale avvantaggiato, ma appare decisamente ingiusto che certi soggetti debbano patire i limiti di ambienti sfavoriti. A questo proposito, l’elaborazione pedagogica che ha preso avvio da Don Milani, e dalla sua “Lettera a una professoressa”, ha identificato con chiarezza il compito della scuola, nonostante oggi vi sia chi cerca di far regredire la cultura etica di questa istituzione.

Una scuola “giusta” non si limita a premiare la capacità, perché non vi è alcun merito nell’appartenere a una famiglia socialmente avvantaggiata (o nell’aver ricevuto un buon corredo genetico dalla lotteria naturale, se si preferisce). Una scuola “giusta”mira a ripianare le diseguaglianze (o almeno ad accorciarle), cercando di assicurare a tutti i discenti uno sviluppo ottimale delle capacità. Questo sembra fondamentale anche per una concezione meritocratica della vita sociale. Questa concezione, infatti è legata all’idea di uguaglianza delle opportunità : il sistema deve garantire a tutti le stesse opportunità, così i risultati dipenderanno solo dal merito personale. Se è così, l’inizio della corsa deve vedere la parità dei punti di partenza: se qualcuno partisse decisamente avvantaggiato la gara sarebbe truccata. Anche in questa versione, la scuola di base deve perciò tendere a mettere tutti alla pari (o almeno a ridurre gli scarti). Ma il nostro paese non investe nella scuola risorse adeguate per permetterle di svolgere al meglio questo compito. Anzi, con la motivazione delle difficoltà del bilancio statale, la scuola è stata fatta ripetutamente oggetto di tagli e di peggioramenti delle condizioni di lavoro.

Veniamo adesso all’impegno, senza il quale non si sarebbe meritevoli, perché la capacità non si esprimerebbe in un’adeguata prestazione. Ci limitiamo a una semplice osservazione. Supponiamo di aver realizzato una situazione di parità dei punti di partenza. Supponiamo, inoltre, che ciò sia sufficiente affinchè il risultato dipenda dal merito, ossia dall’impegno nel continuare ad allenare le proprie capacità, e da quello profuso nei compiti affidati. In un sistema autenticamente meritocratico, i riconoscimenti (le ricompense,i premi, ecc.) vengono distribuiti esclusivamente secondo il criterio del merito, e in termini rigorosamente oggettivi rispetto ad esso.

Si può discutere sulla legittimità di questo criterio. Probabilmente, se applicato in forma pura minerebbe la coesione sociale, perché in ogni caso solo una parte di coloro che si impegnano duramente possono essere davvero premiati e l’insuccesso (almeno relativo) della maggioranza è destinato ad agire da fattore di disgregazione. Tuttavia in una forma controbilanciata da misure di equità sociale (volte a tutelare il diritto alla salute, all’istruzione, ai beni fondamentali), il criterio del merito può indubbiamente agire da fattore di stimolo dell’impegno nello studio e nel lavoro, particolarmente per i giovani, garantendo loro di non essere discriminati in base alla provenienza sociale pura e semplice. Ma esiste davvero un simile sistema meritocratico del nostro paese? Sembra piuttosto che quella del merito sia solo un’ideologia con la quale si copre una situazione ben diversa, in cui le ricompense ( i posti di lavoro a elevata appetibilità sociale, ad esempio)sono spesso distribuite secondo favoritismi, conoscenze e in forme tali da perpetuare privilegi familiari. Sembra difficile che una tale situazione possa davvero stimolare i giovani all’impegno.

La condizione del nostro Paese, purtroppo al momento attuale sembra questa: non si investe nella uguaglianza delle opportunità e si creano condizioni falsate di distribuzione dei posti di lavoro. Così in genere, i ceti sociali privilegiati possono assicurare migliori condizioni di sviluppo ai propri rampolli e possono cercare di trasmettere loro i privilegi acquisiti. Gli altri hanno condizioni di sviluppo meno favorevoli, e minori possibilità di vedere riconosciuti i loro eventuali meriti.

Tutto questo in una situazione socio-economica dove la competizione si fa sempre più aspra e marcata.

In questo stato di cose, forse non ha molto senso parlare di “sfigati” e di meritevoli. Se si va avanti così, semplicemente vi saranno i sommersi e i salvati.(vedi Primo Levi).

Alfonsina Pepe

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