Il fenomeno della de-motorizzazione
Giu 17th, 2012 | Di cc | Categoria: Motori
Forse un giorno avrò un mio nipotino tra le braccia, e sarà alquanto probabile imbattermi nel suo sguardo meravigliato quando gli parlerò di questi tempi. Sai, un giorno queste strade erano popolate di tante scatolette a motore, alcune bellissime, altre meno. E tutti noi andavamo in giro, felici… sai… le automobili… Che??????? Si… le automobili… E che roba è nonno????
Proiettandosi in uno scenario post-bellico pseudo fantascientifico molto poco “fanta”, questa potrebbe essere una scenetta alquanto frequente nelle famiglie prossime a venire. Di certo andrà superato l’ostacolo non da poco della sopravvivenza. Dovremmo riuscire prima a garantirci l’esonero della tassazione sullo scorrere naturale degli anni (il concetto secondo il quale la semplice esistenza in vita sia tassabile in quanto direttamente proporzionale al numero dei servizi usufruiti sembra ormai essere universalmente condivisa e condivisibile); scongiurare il rischio, secondo lo stesso criterio, di una imposta diretta sui figli, sulla lunghezza dei capelli, sulla frequenza sonoro dei colpi di tosse o sulla gradazione termica della temperatura corporea. Ma quando avremmo superato tutti questi ostacoli, tutti e nessuno escluso, potremmo finalmente goderci la nostra tanto agognata povertà, ricordando i bei tempi di una volta, pur sempre avendo una parola gentile per il nostro amato Governo per il quale le cose sembrano andare davvero bene a prescindere da dati ed umori. Davvero bene, al punto da snobbare eventuali finanziamenti offerti da altri Stati Membri perché tanto… a noi non manca nulla, stiamo benissimo. E fino a quando ci sarà ancora qualcuno in grado di dirlo (Monti in primis), possiamo pur stare certi che qualcuno concorde con questi proclama davvero ci sia… a meno fino a quando non si sveglierà dalla stato di torpore celebrale in cui versa o almeno fino a quando non avrà terminato la propria riserva economica.
Da alcune valutazioni, umilmente esposte con il piglio e la poca arroganza di chi è pronto a onorare la propria ignoranza, forse sarebbe opportuno tenere nella giusta considerazione un fenomeno che, già ampiamente previsto, sta cominciando a muovere i primi passi vero la maturità. Neologismo, figlio dei tempi che corrono, la de-motorizzazione.
Prima di esprimerlo in numeri (si portano l’antipatia congenita per il fatto di non essere contestabili), è doveroso un breve cenno storico che riporti alla mente l’inverso del fenomeno attuale, a cui tutti i Paesi del mondo hanno assistito subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Cosa rappresentava, cosa ha rappresentato fino ad oggiAggiungi un appuntamento per oggi l’oggetto automobile? Tralasciando il corredo tecnologico, le parabole sul desing, il suo valore artistico e la funzione di ricerca per il progresso (tutti elementi evidentemente trascurabili), l’auto ha un grandissimo valore sociale. Ed è questo un dato inconfutabile. E’ stata da sempre la prima testimonianza di un benessere economico e sociale, non solo perseguito, ma soprattutto raggiunto. In accordo con il boom economico, il primo oggetto di desiderio delle famiglie è stata l’automobile. Simbolo di una mobilità libera e non subordinata a gestori esterni, strumento di evasione dalla monotonia quotidiana, l’oggetto mette in movimento i popoli, li aggrega, allarga i loro orizzonti e rende raggiungibili posti altrimenti destinati a restare sconosciuti; diventa relazione, oggetto di discussione e di confronto, strappa sorrisi, cenni di approvazione o clamorosi sberleffi. Ma è fondamentalmente un fattore vitale e di vita. Così come oggiAggiungi un appuntamento per oggi lo è Facebook per molti, i Social Network in genere, i computer o più in generale… la connettività. La possibilità di relazionarsi con il mondo esterno e di farlo attraverso un strumento che in buona parte anticipa la nostra personalità, il nostro gusto, la nostra tendenza e che ci rende immediatamente riconoscibili e pertanto aggregabili a persone attigue alla nostra personalità. Ma come se questo non bastasse, l’automobile è un motore (riduttivo) economico, forse capace da sola di sostenere più di un terzo dell’economia di un Paese con il suo indotto. Ci basti soltanto pensare ai milioni di componenti necessari per assemblare un auto, oguno dei quali necessità di milioni di componenti per essere assemblato. Il che si traduce in migliaia di posti di lavoro. Posti di lavoro che cominciano ad esistere nel momento stesso in cui si gettano le basi o la semplice intuizione dell’auto in se, e che si moltiplicano in maniera esponenziale fino al processo di assistenza, passando per la produzione prima e la commercializzazione poi.
E come rispondiamo ad una tale evidenza di fatti? Facciamo spallucce. Facciamo spallucce nello stesso modo in cui fa un datore di lavoro che non paga i propri dipendenti, o come un gerarca nazista da ricordando le proprie vittime. Tiriamo un sospiro e speriamo che quel labile vento possa spazzare via di netto le vite ed i sogni di tutti. Tanto prima o poi qualcuno se ne dimenticherà e non ci sarà nemmeno più bisogno di parlarne.
Ormai ci siamo. Il malato è ancora più malato, di una malattia degenerativa e progressiva che si presenta sotto forme ancora più aggressive e minacciose.
In concomitanza con la pubblicazione dei risultati di una ricerca scientifica che attribuisce all’emissione dei motori diesel una buona percentuale di colpa nello sviluppo dei tumori al polmone ed alla vescica (strano che qualcuno si sia posto il problema solo ora), vengono resi anche noti i nuovi dati di immatricolato. E questa volta non flette solo l’Italia… flette l’Europa di quasi il 9%. Bene. In gergo queste si chiamano metastasi. L’Italia fa caso a se, tristemente a se. Ci sono alcuni costruttori che si attestano su perdite del 80% (Maserati e Ferrari per citare i più eclatanti, ma in termini assoluti i loro numeri sono comunque molto contenuti; esistono però molti, tanti generalisti che ormai immatricolano poco più di un decina di auto al mese su tutto il territorio).
Ma la cosa assolutamente sconvolgente è che siano sparite dal Pubblico Registro più di 26mila auto da gennaio. Non ci sono più… volatilizzate. Sparite e non più sostituite. Tradotto in soldoni, gli italiani stanno progressivamente rinunciando all’uso dell’auto, ripiegando sui mezzi pubblici. Dove vadano queste auto non è ancora un problema, di certo non lo sarà per l’Italia, ma è chiaro che se gli usati sono destinati ad altri Paesi, è pur vero che questi stanno velocemente trottando verso la saturazione e che presto non saranno più in grado di assorbire la diaspora di autoveicoli italiani. Eccoci al fenomeno della demotorizzazione.
Quali siano le motivazioni è evidente. Ma quale sia il valore sociale di tale riassetto forse ad alcuni sfugge.
Non stiamo affatto così bene come qualcuno si ostina a volerci far credere. Stiamo navigando in piena recessione economica. Ed è questo un segnale d’allarme che andrebbe decifrato. Anticipa una catastrofe di proporzioni bibliche, un collasso sociale difficilmente arginabile.
Claudio d’Emmanuele