Perché sì alla responsabilità dei giudici

Giu 14th, 2012 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale

Perché sosteniamo l’emendamento Pini, che stabilisce la responsabilità diretta dei magistrati quando sbagliano? Per ragioni di giustizia, e anche di rispetto della volontà popolare.

Per capirlo è bene togliere la polvere da fatti e cifre dimenticate. L’8 novembre del 1987 si votò un referendum il cui quesito prevedeva l’abrogazione di alcuni articoli di legge che fornivano ai magistrati un’armatura per non pagare le loro colpe, rovesciando l’onere sullo Stato. Cioè in pratica funzionava così: io, magistrato, faccio un torto allo Stato (nella persona di un suo cittadino), e i danni li paga lo Stato (con i soldi anche di quel cittadino che versa le tasse). L’80,20 per cento dei voti diede la vittoria a chi voleva che i magistrati usassero le loro tasche per risarcire i torti fatti.

Nel 1988 una legge, votata da un Parlamento intimidito dalle proteste dei giudici, salvò i magistrati, con un escamotage da mago Houdini: pagava lo Stato, il quale, semmai, si sarebbe poi rivalso sulla toga colpevole, se però si fosse dimostrato “dolo o colpa grave”. Insomma, una specie di burla. Perché tutti sanno che poi lo Stato con i magistrati dorme.

Per rispettare la giustizia e la volontà del popolo sovrano, abbiamo votato nel febbraio di quest’anno alla Camera il famoso “emendamento Pini” e il Popolo della Libertà è determinato nel sostenerlo al Senato, così che diventi definitivamente legge. Votato dalla Camera il 6 febbraio scorso a scrutinio segreto (voti a favore 264, 211 i contrari, 1 astenuto) questo atto del parlamento subì attacchi poderosi proprio dai magistrati e dagli ex magistrati tipo Di Pietro. Perché si indignarono tanto? L’emendamento Pini prevede che le toghe possano essere citate “direttamente” in giudizio da chi ha subito un danno ingiusto, per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento, “in violazione manifesta del diritto”.

La reazione dell’Associazione nazionale magistrati è stata di una arroganza senza precedenti, sostenendo che il Parlamento ha messo in campo una “azione intimidatoria e di vendetta verso il libero esercizio della funzione di giudice”, e di un “tentativo di risentimento e di ritorsione nei confronti dei giudici”.

Questa sì che è una forma di intimidazione. Peccato che nessuno in questo caso ricordi i risultati del referendum del 1987, aggirati per accarezzare i privilegi dell’impunità togata. Per questo non va bene il confetto confezionato dal ministro Severino che torna a stabilire che la legge è uguale per tutti, ma i magistrati sono più uguali degli altri, con beneficio non dei bravi magistrati, ma di quelli che tradiscono il diritto manifestamente!

Lascia un commento

Devi essere Autenticato per scrivere un commento