Alfano: art. 18, riforma a rischio

Mar 26th, 2012 | Di cc | Categoria: Politica

Intervista del segretario PdL, Angelino Alfano a Il Messaggero

 

«La riforma del lavoro è a rischio e senza decreto si riscontreranno effetti negativi sul mercato». Il segretario del Pdl Angelino Alfano, in una intervista al Messaggero, lancia l’allarme: «Bersani è condizionato dalla Cgil e non ha alcuna voglia di approvare il provvedimento prima dell’estate. Ma cosi si farà impantanare il governo alle Camere». A Pier Ferdinando Casini che attacca Pd e Pdl sostenendo che se vanno avanti a litigare come stanno facendo sulla riforma del lavoro rischiano di far cadere Monti, Angelino Alfano replica senza fronzoli: «Noi lavoriamo per consentire al governo Monti di proseguire la sua opera. Se non avessimo voluto farlo nascere, o avessimo voluto farlo cadere, ci sarebbe stato sufficiente dirlo. Il nostro esame di coscienza è superato a pieni voti. La vicenda della riforma del lavoro di suo è complessa. C’è stata l’impressione - e non è un’opinione solo mia ma l’ho sentita sostenere anche da Raffaele Bonanni - che la Cgil sia condizionata al suo interno da frange estreme come la Fiom e che a sua volta Bersani, che sostiene il governo Monti, sia condizionato dalla Cgil. Cioè di fatto l’Italia intera è condizionata dalla Cgil».

 

Segretario, questo vuol dire che il Pd, così condizionato, la riforma del lavoro di fatto non la vuole fare? E’ questa l’accusa che rivolge a Bersani?

«Credo che il Pd non abbia voglia di farla prima della pausa estiva dei lavori parlamentari. I precedenti in materia di provvedimenti sul lavoro ci consegnano situazioni sempre molto complicate. Per esempio il disegno di legge a firma dell’ex ministro Sacconi, nonostante fosse stato fortemente voluto dalla maggioranza Pdl-Lega, ha dovuto avere ben sette letture prima di essere approvato. Si tratta di una materia di estrema delicatezza che avrebbe giustificato un decreto con sessanta giorni di dibattito parlamentare e poi il voto. Ovviamente tutto ciò preceduto da un serio negoziato quale quello che il presidente Monti e il ministro Fornero hanno svolto in questi mesi. Invece è andato tutto al contrario: lungo negoziato, faticosa ricerca di intese, vana illusione che la Cgil potesse davvero firmare un qualcosa, e alla fine è arrivato un disegno di legge».

 

E invece qual era la strada giusta?

«Se si doveva arrivare ad un percorso così lungo, tanto valeva che il governo presentasse direttamente in Parlamento la sua proposta di riforma, senza troppe chiacchiere iniziali e senza troppe discussioni con le parti sociali; affidando poi alle forze politiche e alle Camere la ricerca di una mediazione. Invece si parte già da un punto di equilibrio che per certi versi non soddisfa noi e per altri non soddisfa il Pd. E rispetto a questo equilibrio di per sé già delicato la realtà è che dovremo fare altri estenuanti negoziati. Con una preoccupazione: che il Parlamento diventi una palude dalla quale il governo rischia di non tirare fuori il disegno di legge della riforma, e che tutto il dibattito venga osservato con inquietudine dai mercati internazionali con la possibilità di danni non trascurabili per il Paese e la sua situazione economica».

 

Quali danni, segretario? Sta dicendo che adesso lo spread può risalire, è questo che succederà?

«Il rischio è che non aver voluto procedere con il decreto può rappresentare una scelta che oltre a non portare benefici provochi danni. Se il confronto parlamentare diventerà lungo ed estenuante darà una pessima impressione a chi dall’estero sperava che questa fosse la svolta del Paese, farà emergere l’immagine di un’Italia che è incapace di cambiare. C’è il rischio che quello che di buono il governo Monti ha fatto per far diminuire lo spread con i titoli tedeschi venga compromesso da un eventuale fallimento del tentativo di riformare il mercato del lavoro».

 

Il Pd vi accusa di essere più interessati a soffiare sul fuoco delle sue divaricazioni interne che non a fare la riforma del lavoro.

«Non stiamo divaricando un bel nulla. Abbiamo votato sì al decreto sulle liberalizzazioni; sì a quello sulla manovra economica e però tutti questi passaggi, compreso il ddl sul lavoro, hanno lasciato in noi e nel nostro elettorato il retrogusto amaro che quando si dovevano fare cose che impattavano più negativamente sul nostro elettorato si è proceduto scegliendo il percorso breve; quando invece è emerso un problema con il Pd e la Cgil si è scelto il percorso lungo».

 

Lei ha affermato che ora il governo è più debole. Che conseguenze comporta questa debolezza?

«Il governo è più debole perché se alla fine la vicenda si fosse conclusa con la revoca dello sciopero generale da parte della Cgil, l’impatto sul Paese sarebbe stato minimo. Invece non avere la disponibilità di un testo scritto, non avere la disponibilità di tempi certi e per di più sentirsi dire dalla Camusso che è arrivato il momento di inasprire le reazioni sociali per condizionare il dibattito parlamentare produce un risultato oggettivamente negativo».

 

Veniamo al merito della riforma. Pure secondo lei il ddl deve rimanere così com’è anche per la disciplina dell’articolo 18; nessuna modifica è possibile, niente sponde ai tentativi del Pd di rivedere la nuova disciplina dei licenziamenti?

«Noi faremo tanta sponda alle preoccupazioni delle piccole e delle medie imprese che da un lato vedono estese le rigidità dell’articolo 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti; e dall’altro fortemente disincentivato e burocraticamente appesantito l’accesso a forme contrattuali che con la legge Biagi avevano rappresentato un meccanismo capace di creare tanta occupazione».

 

Insisto: l’articolo 18 deve rimanere così come è oppure no?

«Per essere concreti. Non si può bluffare sulla flessibilità in uscita e penalizzare le forme di flessibilità in entrata che hanno dato prova di funzionare».

 

Vogliamo proseguire l’alleanza con Bossi

 

Veniamo alle alleanze. Con la Lega scorrono sempre i titoli di coda oppure adesso che si avvicinano le amministrative è cambiato qualcosa?

«Abbiamo sempre ribadito che sarebbe nostro intendimento proseguire nell’alleanza con Bossi. E’ chiaro che è una questione che si deve gestire in due».

 

Ma lei con Bossi ci ha parlato o l’incomunicabilità è assoluta?

«Non è un problema di incomunicabilità. E’ stato Bossi a dichiarare pubblicamente che valuterà delle deroghe al principio di non allearsi con il Pdl. Spetta ora alla Lega fare un ragionamento di apertura per avviare una nuova fase di collaborazione. Anche perché non credo convenga a nessuno consegnare il Nord alla sinistra».

 

Anche il Pdl ha problemi. Che succede a Verona, dove c’è una scissione a favore della candidatura di Tosi? E come vi comporterete con le liste tipo Forza Lecco?

«A Verona ho assunto la determinazione massima che mi è consentita dallo Statuto: la sospensione. L’espulsione è consentita al Collegio dei probiviri e non alla singola persona del segretario. Non per colpa nostra il Pdl non sostiene Tosi. Quanto a Forza Lecco e simili, noi non siamo un partito a geometria variabile nel quale ciascuno fa quello che gli pare o fa la lista che gli conviene. Chi, pur iscritto al Pdl, fa liste civiche fuori dal Pdl si pone fuori dal partito».

 

Però messa così è una regola che può valere anche al contrario. Per esempio: il sindaco di Roma, Alemanno, ha detto mai più alleanze con la Lega indipendentemente da quale legge elettorale ci sia. Anche lui si pone fuori dal Pdl?

«Ovviamente al nostro interno ci sono varie sensibilità. Di certo c’è che esiste un principio che deve orientare ogni politico che si rispetti, ed è un principio di realismo. E’ chiaro che se si vuole mantenere l’assetto bipolare, per vincere non si può fare a meno della Lega».

 

 

Legge elettorale, non rinunciamo al bipolarismo

 

A proposito di assetto bipolare. La nuova legge elettorale si fa oppure il contrasto sulla riforma del lavoro l’ha affossata?

«Noi vogliamo restituire ai cittadini il diritto di scegliere i parlamentari, al contempo non rinunciando all’impianto bipolare che esiste nei più grandi Paesi occidentali: Usa, Germania, Francia, Spagna e così via. Questo è per noi un punto importante».

 

Giorgio Napolitano ha detto che alla scadenza del mandato tornerà un privato cittadino. Berlusconi è un candidato al Colle?

«Abbiamo sempre manifestato stima e riguardo nei confronti del presidente Napolitano. Si tratta di questioni che interesseranno le istituzioni tra oltre un anno e delle quali da parte dei partiti parlare adesso è inutile o dannoso. Quanto alle candidature, da parte mia sarebbe troppo facile dire tutto ciò che di positivo penso del presidente Berlusconi. Ma qualunque cosa dicessi apparirebbe fuori contesto e dunque non è materia di oggi».

 

Della giustizia lei è disposto a parlare con gli alleati o sta sull’Aventino?

«Siamo favorevoli alla legge anticorruzione che è stata fatta dal governo Berlusconi e che porta la mia firma. Idem sulla responsabilità civile dei giudici e sulle intercettazioni. E’ il contenuto dell’intesa raggiunta nel vertice con il presidente Monti».

 

E sulla Rai?

«C’è una legge in vigore, atteniamoci a quella senza dare la sensazione di fare bagarre per qualche poltrona».

 

Dunque no al commissario chiesto dal Pd.

«Da Codice civile e da senso di giustizia, il commissario ci vuole quando il management ha fallito. La Rai invece è in utile e questo è un merito che va riconosciuto al direttore generale Lorenza Lei».

 

 

 

 

 

Amministrative/Alfano: speriamo che Bossi faccia delle deroghe

 

Alle prossime amministrative il segretario del Pdl Angelino Alfano spera ancora che in qualche luogo il suo partito possa essere alleato con il Carroccio.

”Spero che dalla Lega - ha detto Alfano, che a Milano oggi incontra i coordinatori provinciali - arrivino segnali di apertura perche’ sarebbe un errore consegnare il nord alla sinistra. Speriamo che Bossi possa fare delle deroghe. Noi siamo disponibili ad andare all’apparentamento dove si vota”.

”Sara’ la Lega a decidere dove farlo”, ha detto Alfano ricordando che sono centinaia Comuni e Province in cui i due partiti Governano insieme.

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