Costo del lavoro e benzina allontanano la ripresa economica

Mar 26th, 2012 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale

Risolta in qualche modo la questione Grecia, la tensione è tornata ad affacciarsi sui mercati internazionali alla fine della scorsa settimana con la ripresa degli attacchi speculativi contro la Spagna e il Portogallo. Si comincia a dubitare della validità dei conti pubblici di Madrid. Il titolo di Stato spagnolo a dieci anni di scadenza è così salito di colpo fino ad un rendimento del 5,5 per cento e ha fatto segnare una differenza, il famoso “spread”, di 362 punti rispetto all’equivalente tedesco. C’è da preoccuparsi davvero? È tornata la paura dei debiti sovrani? L’Italia sarà coinvolta in una nuova bufera globale nonostante la politica di rigore prima del Governo Berlusconi e poi del Governo dei tecnici?

 

Questo è il primo interrogativo a carattere esterno, anzi globale, sulla salute economica e finanziaria del nostro Paese. Ma se veniamo alla situazione interna, un’indagine della Confcommercio conferma il lato oscuro del sistema Italia: il costo del lavoro, che è salito a 376 miliardi di euro all’anno per 4.400.000 imprese, e che arriva a mangiarsi da solo il 14,2 per cento del fatturato e quasi il 60 per cento del valore aggiunto prodotto dalle aziende. Cifra mostruosa, questa del costo del lavoro, e tutta determinata dalla pressione fiscale. Un esempio: la tassazione di un dipendente single ha toccato il 46,9 per cento della sua retribuzione contro la media del 34,9 per cento dei Paesi più sviluppati che fanno parte dell’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Tredici punti in più non sono uno scherzo, sono un’enormità.

 

Se poi si fa un paragone tra il costo del lavoro in Italia e quello nei Paesi emergenti, si capisce subito il motivo di tante “delocalizzazioni”, di tante fabbriche italiane che si spostano all’estero: 33.000 euro per dipendente all’anno da noi e 17.000 in Brasile, 12.000 in Polonia, 6.000 in Romania, poco più di 4.000 in Cina. Chi mai può reggere a simile concorrenza?

 

Intanto, a certificare l’ulteriore gravita’ della situazione interna, giunge l’allarme di Confcommercio: i consumi degli italiani sono tornati ai livelli di 14 anni fa, al 1998. E nei prossimi due anni, è prevedibile soltanto un peggioramento. Anche i commercianti mettono il dito sulla piaga: la pressione fortissima del fisco. Il 45,2 per cento del Prodotto interno lordo, un dato che ci mette al quinto posto in Europa ma che in realtà arriva al 55 per cento per chi paga effettivamente le tasse! In queste condizioni, l’ulteriore aumento dell’Iva al 23 per cento previsto in settembre - e praticamente confermato sabato scorso dal ministro Passera - addensa altre nubi nere sui consumi interni che purtroppo riguardano all’80 per cento merci tutte italiane.

 

Si lamentano imprenditori, artigiani e commercianti, del fatto che a questa evidente gelata dei consumi, ancor più e definitivamente aggravata dalla benzina al livello di due euro al litro, non corrisponde finora alcuna misura per il rilancio e lo sviluppo. Occorre, dicono tutti, una iniezione di fiducia per rimettere in moto una economia che appare depressa anche dal punto di vista psicologico, senza più obiettivi.

 

Una spinta ulteriore alle liberalizzazioni, quelle vere e pertanto più difficili, del sistema burocratico potrebbe far risparmiare alle imprese, secondo i calcoli di Confcommercio, 23 miliardi di euro all’anno. Una qualche riduzione dell’oppressione fiscale, pur nei limiti, questo è evidente, del rigore imposto dalla crisi finanziaria globale, potrebbe dare l’ulteriore e auspicato impulso. Ma il pacchetto di misure per il rilancio ancora manca.

 

E in questa direzione si eserciterà tutto il peso e l’influenza del Popolo della Libertà in Parlamento, come sempre portavoce delle richieste dei cittadini nei confronti del Governo dei tecnici.


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