Pensioni, riforma da rivedere
Mar 16th, 2012 | Di cc | Categoria: Politica
Con le circolari diramate ieri dall’Inps, la riforma delle pensioni del governo Monti è diventata una realtà. Una realtà, va detto, con una valenza doppia. Ottima per l’Europa, che ha coperto di elogi il governo Monti per averla varata. Ma scomoda per migliaia di lavoratori lasciato in mezzo al guado: si trattava di lavoratori mesi in mobilità lunga dalle aziende in crisi, con la prospettiva di una pensione a breve. Invece l’obbligo del requisito di 65 anni introdotto dalla nuova riforma per ottenere l’assegno dell’Inps ha lasciato questi lavoratori senza nulla in tasca, né la cassa integrazione né la pensione.
Un dramma per migliaia di famiglie. Bontà sua, il ministro del Welfare, Fornero, ha assicurato che quanto prima se ne occuperà. Lo conferma una delle circolari Inps, dove si conferma che entro il 30 giugno il problema sarà affrontato con un monitoraggio dei casi rimasti in sospeso, con la prospettiva di applicare a chi stava in mezzo al guado le regole Inps del passato invece di quelle introdotte dalla riforma. A patto che i soldi bastino: per i prossimi tre anni il governo ha infatti stanziato una somma proprio per questi casi, anche se modesta.
Tutto questo insegna che anche le riforme del governo Monti più celebrate dai media e dall’Europa, come quella delle pensioni, qualche imperfezione non piccola la nascondono. E questo rivaluta, nel confronto, l’operato dei precedenti governi Berlusconi, che avevano fatto non una, ma ben due riforme della previdenza. La prima, quella con lo “scalone” che portava di colpo l’età minima della pensione a 60 anni, era stata fatta dal ministro del Welfare Roberto Maroni durante il governo Berlusconi 2001-2006. Una riforma osteggiata dalla Cgil e cancellata dal governo Prodi (2006-2008).
Per mettere una pezza ai conti pubblici, dissestati da Prodi e dai sindacati, l’ultimo governo Berlusconi ha varato una seconda riforma in cui l’età della pensione veniva collegata alle aspettative di vita, che sono in aumento da anni. Una riforma giudicata intelligente (neppure un’ora di sciopero) e sostenibile non solo dagli esperti, ma perfino dall’Europa, che poi ha però cambiato opinione e ce ne ha imposto una ancora più drastica. Quella che porta la firma di Monti e Fornero.
La sinistra e i sindacati, così critici con le riforme del governo Berlusconi, all’inizio avevano sottolineato l’anomalia di un provvedimento che lasciava in mezzo al guado migliaia di lavoratori in mobilità. Poi, sia la sinistra che i sindacati hanno messo la sordina a questo tema, spostando l’attenzione sulla riforma del lavoro e sull’articolo 18, mostrando ancora una volta di dare più importanza alle questioni di potere contrattuale (il vero potere dei sindacati) che non alle risorse necessarie per vivere di migliaia di lavoratori. Vedremo alla fine quale sarà il risultato. Ma l’impressione è che – come sempre – sindacati e sinistra abbiamo fatto tanto fumo e niente arrosto, dando così ragione al disegnatore Giannelli, che nella vignetta di oggi sul Corriere della sera si domanda se, invece di un nuovo mercato del lavoro, gli italiani avranno soltanto una nuova disciplina dei licenziamenti. Non c’è che dire: nell’arte di imitare Tafazzi, la Cgil e la sinistra sono davvero dei campioni.