Intercettazioni, ora clima propizio

Mar 1st, 2012 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale

Sulle intercettazioni sarebbe bene che il Parlamento intervenisse prima dell’ennesimo scandalo per fuga di notizie sui giornali. Si intervenga purché trovando il giusto equilibrio tra il mantenimento di uno strumento d’indagine necessario, il rispetto della privacy e la libertà di stampa“.

 

A parlare - in un’intervista sul Messaggero - non è un leader del Pdl, ma il vicepresidente del Csm Vietti. Si tratta di una svolta importante nel dibattito sulla riforma della giustizia: quello di Vietti, insomma, è un intervento che non deve assolutamente essere fatto cadere nel vuoto. Dunque: se il governo Monti deciderà di intervenire sul tema cruciale delle intercettazioni, che attiene ai capisaldi stessi della civiltà giuridica, questa volta non troverà nell’organo di autogoverno dei magistrati un muro di no pregiudiziali, come è invece capitato al precedente esecutivo. Il ministro Severino ha già dimostrato di avere il decisionismo nel suo dna, basti vedere il piglio con cui ha affrontato il delicato problema del sovraffollamento delle carceri, e nei suoi editoriali da insigne avvocato ha sempre espresso giudizi molto chiari sulle intercettazioni.

 

Citiamo testualmente dal Messaggero del 6 giugno 2008: “Le intercettazioni telefoniche hanno un rilevantissimo costo, pari al 33 per cento delle spese di giustizia. Inducono inoltre nei magistrati una perdita di capacità nell’utilizzo di tecniche investigative tradizionali“. E poi invadono la vita privata, travolgono “qualunque forma di tutela della riservatezza“, vengono pubblicate “infrangendo il segreto investigativo“, fanno finire sui giornali “conversazioni del tutto prive di rilevanza penale, nella ricerca irrefrenabile di aspetti solo scandalistici in vicende giudiziarie“.

Come darle torto?

 

Da Tangentopoli in poi tanti, troppi innocenti sono finiti nel tritacarne mediatico e si sono visti rovinare la vita per la pubblicazione di colloqui privati che nulla avevano a che fare con le inchieste. Eppure, quando il Senato approvò il disegno di legge Alfano sulle intercettazioni, il Pd si oppose sventolando una motivazione drammatica: “Così si massacra la libertà”. Ma quella legge rappresentava un buon punto di equilibrio tra la necessità di garantire la privacy dei cittadini e l’esigenza di condurre indagini approfondite, consentendo l’uso, ma non l’abuso, delle intercettazioni. Andando ancora a ritroso nel tempo, il 20 settembre del 2006 - governo Prodi - l’allora Guardasigilli Mastella presentò un disegno di legge che regolamentava, appunto, l’uso delle intercettazioni. Per la precisione, Mastella avrebbe voluto addirittura la strada più sbrigativa del decreto legge.

 

A Montecitorio l’iter del ddl durò sette mesi, suggellati da un insolito ma significativo voto unanime (447 sì e 7 astenuti) sul divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive.

 

Anche nel caso in cui tali atti non fossero più coperti dal segreto, almeno fino alla conclusione delle indagini preliminari. Allora la sinistra, per convenienza, si dimostrò garantista, salvo poi cambiare idea quando al governo tornò Berlusconi.

 

Ora il clima sembra propizio per arrivare a una riforma: c’è un governo tecnico, c’è la dichiarazione di non belligeranza del Pd, visto che Bersani si è detto disposto a discutere la questione “senza pregiudiziali”, e finalmente si riconosce che il regime delle intercettazioni va modificato. Speriamo sia la volta buona, e che non risuoni ancora una volta in Parlamento il tradizionale “contrordine compagni”.

 

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