MEZZOGIORNO DA RICORDARE. Presentato a Roma il libro a cura di Sergio Zoppi “Diciotto voci per l’Italia unita”

Ott 17th, 2011 | Di cc | Categoria: Spettacoli e Cultura

Parlare di Mezzogiorno è andare contro corrente. Non è di moda. E sembra che l’intellighenzia nostrana negli ultimi vent’anni abbia fatto di tutto per cancellare la tematica nel confronto culturale e politico. Il problema non esiste; anche se c’è, eccome. Miracoli del conformismo nostrano tutto incentrato nell’assecondare le tematiche (e i poteri) dominanti. Il resto può rimanere nel dimenticatoio. Non importa se tutti i santi giorni gli effetti della “questione” che non si vuol né affrontare, né tanto meno considerare - sia pur sotto l’aspetto culturale, o sub-culturale secondo i casi -, sono sotto gli occhi di tutti. Pesano come macigni sul vivere civile. Gli esorcismi demenziali per illudersi di azzerare la materia sono l’invocare, da una parte, la secessione e  il ritenere, dall’altra, che il problema sia solo di natura criminale. Certo le eccezioni ci sono, per fortuna.

 

            “L’Italia sarebbe stata ciò che il Mezzogiorno sarebbe diventato”, ricorda  Gerardo Bianco, citando Giustino Fortunato, nell’aprire la tavola rotonda organizzata dall’istituto Sturzo per presentare il libro a cura di Sergio Zoppi: “Diciotto voci per l’Italia unita“, edito dal Mulino nella collana della Svimez. E frase più profetica credo che non sia stata mai scritta sul Mezzogiorno. E’ così. Basta estraniarsi dalle querelle opportunistiche e fuorvianti per capire che certe debolezze italiane hanno radici nel Sud del Paese. Ma quelle fragilità, se convertite, possono dare uno sviluppo propulsivo enorme all’Italia. Non certo le ipotesi divisorie o i federalismi gretti, dove l’equità e la solidarietà non esistono. E le “diciotto voci” raccolte nel libro da Sergio Zoppi, non dimenticato direttore e poi presidente del Formez - quando l’istituto si occupava di formare la classe dirigente per il Sud -, “sono scritti di persone che, nell’arco di un secolo o poco più, hanno dedicato attenzione al Mezzogiorno pur non essendo meridionali”. Una sottile provocazione proprio nella stagione che strumentalmente ed ottusamente vede un Nord in contrapposizione all’altro indispensabile ed inseparabile pezzo d’Italia.

 

            Ha fatto bene nel suo intervento Gerardo Bianco a ricordare, tra l’altro, la Cassa per il Mezzogiorno. E soffermarsi sui benefici, sulla riduzione della forbice tra Nord e Sud negli anni dal ‘50 al ‘65. La Cassa allora fu un importante strumento di perequazione che prendeva ad esempio le agenzie di sviluppo locale avviate durante il New Deal negli Stati Uniti.

 

            La domanda che si pone Stefano Folli nel suo intervento è retorica e sfottente al tempo stesso: “L’Italia sarà  se riuscirà a liberarsi del Meridione?”. Proprio no. Mentre il libro di Zoppi è anche, per Folli,  “la storia di una classe dirigente”, che oggi il Paese purtroppo non ha a quel livello.  Adriano Giannola ipotizza “una nuova armonia meridionale” che possa produrre un progetto e che sappia riaprire un dialogo con il Nord ed auspica un cambiamento “delle cose strutturali” che non vanno al Sud. Ma per Giannola “c’è bisogno di recuperare sul Mezzogiorno vent’anni di non attività dei governi che si sono succeduti”. Francesco Rutelli, da politico militante, si sofferma sulla differenza che esiste, e non è di poco conto nell’attuale fase politica, tra classe dominante e classe dirigente. I poteri che oggi hanno i presidenti delle Regioni, impropriamente definiti governatori, e quelli dei sindaci sono enormi a paragone del passato. Potrebbero, se volessero, ribaltare situazioni, fare certamente meglio di chi l’ha preceduti. Il problema è che la classe dirigente manca.

 

            Giorgio Santini è uomo del Nord, segretario generale aggiunto della Cisl, ha seguito per anni le tematiche legate al Mezzogiorno. Sa bene, perché le ha vissute sulla pelle della sua organizzazione, che significa provare a portare al centro del dibattito politico-sindacale la “nuova questione meridionale”. Non a caso tra le “diciotto voci per l’Italia unita” di Zoppi, ben due hanno avuto incarichi di prestigio nella Cisl. Uno è Giulio Pastore, genovese, fondatore della Cisl, meridionalista convinto, dal 1958 e per dieci anni, tranne una piccola parentesi, ministro senza portafoglio incaricato di presiedere allo sviluppo del Mezzogiorno. L’altro è Mario Romani, primo collaboratore di Pastore nella costruzione del “nuovo sindacato” e , tra l’altro, preside della facoltà di Economia all’università Cattolica, nonché fondatore del Centro Studi Cisl di Fiesole. Per Santini, certo, i problemi partono anche dai “gruppi di potere” che  per i loro interessi  bloccano la crescita necessaria ed opportuna del meridione. Ma il “salto di qualità” non può che esserci e deve partire dalle donne e dagli uomini del  Sud  per dimostrare le capacità che questo territorio ha. Una cosa a cui mettere subito mano è, per Santini,  “l’inefficienza della spesa pubblica”che va messa al più presto sotto corretta.

 

            Sarebbe importante che il libro di Zoppi venisse letto da tutti i parlamentari oggi in carica. Disponibilità finanziarie permettendo, propongo alla Svimez, all’Istituto Sturzo ed al Mulino d’inviare una copia del libro ai nostri rappresentanti in Parlamento. Non si sa mai… 

Elia Fiorillo

 

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