Beatificazione di Don Giustino Russolillo, omelia del Cardinale Angelo Amato
Ott 16th, 2011 | Di cc | Categoria: Religione
Offriamo alla meditazione nostra e di tutti la splendida omelia che il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha dedicato alla figura, alla spiritualità e alla santità di don Giustino durante la solenne celebrazione della sua beatificazione. Rispondendo ad alcune domande poste da lui stesso, S. E. il Cardinale Amato ha presentato uno “splendido ritratto”del nostro beato, partendo dal territorio in cui è nato, è vissuto ed ha operato e arrivando a mettere in evidenza i pilastri della sua santità e l’eredità che ha lasciato ai suoi figli e a tutti i fedeli.
Sia lodato Gesù Cristo!
Cari fedeli è bello vedere questa piazza grandiosa trasformata in una chiesa, anzi in una cattedrale, la cattedrale di Pozzuoli, eccellenza (rivolto al vescovo di Pozzuoli, Mons. Gennaro Pascarella, ndr). Ma soprattutto è una chiesa piena di presenze oranti, perché io sono edificato dalla vostra presenza, dalla vostra preghiera e dal vostro canto. Ringrazio le loro eminenze, il cardinale De Giorgi e il card Martino per la loro partecipazione a questa celebrazione in onore del beato Giustino Russolillo. Ringrazio tutte le loro eccellenze, i vescovi numerosi, anche loro condividono la nostra gioia.
Cari vocazionisti e care vocazioniste, autorità civili e militari, rev.di sacerdoti, rev.de suore, cari fedeli, è veramente con grande gioia che stiamo celebrando un evento più unico che raro della diocesi, la beatificazione di don Giustino Russolillo, il parroco santo.
Oggi in questo festoso tempo pasquale siamo tutti invitati a guardare in alto verso il cielo, al di là di questa Pianura, di questo mare, di questi monti, per fissare gli occhi verso il sole che è Gesù Cristo Risorto, autore della santità di don Giustino. Oltre che a Dio Trinità il nostro grazie va anche al papa Benedetto XVI che ha riconosciuto in don Giustino un testimone straordinario del vangelo, il vangelo che è per tutto il mondo una buona notizia di bontà, di giustizia, di pace, di fraternità, di santità.
Una prima domanda: dove è nato questo nostro beato che la Chiesa propone oggi alla nostra venerazione e ammirazione? Qui, qui è nato, in Campania, nella vostra regione, in questo affollato quartiere di Napoli, a Pianura. Come la vostra terra fertile produce fiori e frutti abbondanti in ogni stagione, così in ogni secolo la Campania, la vostra regione, ha donato alla Chiesa frutti maturi di santità. Disse un giorno il cardinale Ursi: “La Campania è terra di santi”. Tra quelli più recenti ricordiamo S. Giuseppe Moscati, S. Caterina Volpicelli, S. Giulia Salzano, S. Gaetano Errico, il beato Ludovico da Casoria, il beato Bartolo Longo, la beata Teresa Manganiello
Cari fedeli è lunghissima la lista delle serve e dei servi di Dio, vescovi, sacerdoti, religiosi, laici che attendono il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa della loro edificante esistenza cristiana. Ogni vostro paese, ogni vostra città è confortata dalla presenza di testimoni credibili del Vangelo di Gesù, i quali con la loro straripante carità attirano benedizioni e grazie divine su tutti: sulle famiglie, sui bisognosi, sugli ammalati, sui giovani.
E tra questi eroi della santità spicca il vostro Beato Giustino Russolillo, parroco zelante e vigilante, apostolo infaticabile del catechismo, maestro e formatore di coscienze, fondatore di dinamiche congregazioni religiose, promotore di vocazioni sacerdotali e religiose.
Se l’esistenza di un essere umano è fatta di poche luci e di molte ombre, la vita del Beato Giustino Russolillo è fatta di molte luci che non lasciano spazio alle ombre.
Non riassumo la vita, perché il postulatore Padre Giacomo ha già letto una bella biografia del nostro Beato.
Mi domando, un’altra domanda: chi era don Giustino? Era un abitante di Pianura, terra di antica civiltà e ricca di siti archeologici greco-romani, ma terra anche di antica tradizione cristiana. Ebbene don Giustino è un degno rappresentante della vostra bella terra. Era un sacerdote, un prete della Chiesa Cattolica che lottava, soffriva, sperava per la prosperità di questo territorio e per la salvezza in tutti i campi dei suoi abitanti.
Io credo che il beato Giustino può far sue le parole di don Maurizio Patricello, parroco di San Paolo Apostolo a Caivano, che qualche mese fa ha gridato a voce alta contro il fango gettato con viltà calunniosa sul papa e sui sacerdoti. Diceva don Maurizio: “ Io sono prete, un prete che lavora, che riesce a dare gioia, pane e gioia a tanta gente bistrattata, ignorata, tenuta ai margini”. E continuava: “Sono un prete che ama la sua Chiesa e il papa, un prete che soffre per il Santo Padre offeso e deriso”.
Don Giustino era un prete così. Un prete che amava la sua terra, i suoi parrocchiani, i giovani. Lavorava dal mattino alla sera per inculcare il bene, per dare prospettive di speranza a tutti, per venire incontro ai bisogni dei più svantaggiati. Con la parola di Gesù sempre nel cuore e sulla bocca cercava di formare i suoi parrocchiani a essere, come diceva don Bosco, onesti cittadini e buoni cristiani.
Ma da dove proveniva questo suo zelo sacerdotale così dinamico? La vita sacerdotale era fondata su tre robusti pilastri: l’amore alla Parola di Dio, l’obbedienza alle Divine Ispirazioni buone e l’adorazione trinitaria. Don Giustino aveva sempre tra le mani il Vangelo quale vademecum di luce e di sapienza nel suo apostolato di parroco e di fondatore. Conseguenza di questo ascolto della Parola di Dio era la sua obbedienza alle Divine Ispirazioni che lo incitavano continuamente a compiere il bene con sempre maggior frequenza e convinzione. Infine don Giustino usava chiamare ogni anima Sposa della Trinità. In un suo diario annotava: “Il Signore vuole la sua abitazione sulle altezze, vuole l’abitazione dell’anima e la sua conversazione nei cieli, perché vuole tutto per sé nella divina sua famiglia”.
Questa solida spiritualità trinitaria si riverbera anche nello stemma vocazionista, in cui ci sono tre triadi: il campo di lavoro è la Chiesa, trionfante, purgante e militante, il modello è la S. Famiglia di Nazaret, Gesù, Maria e Giuseppe, l’ideale è l’unione con le Divine Persone Trinitarie, per cui trinitaria, quindi saldissima e centrale, è la sua ascetica come cammino di perfezione e di conformazione a Cristo mediante la purezza, l’umiltà e la carità.
Qual è l’aspetto più rilevante, cari fedeli, della santità del nostro beato? Io credo che questo aspetto fondamentale è rappresentato dalla sua qualità e dal suo carisma di essere formidabile educatore di sacerdoti, formatore ed educatore di sacerdoti. Dalla sua spiritualità trinitaria egli attingeva sicuri orientamenti di formazione, non tanto e non solo per l’acquisizione di una qualificata cultura ecclesiastica o per l’apprendimento di un disciplina austera e forte, entrambe necessarie, quanto piuttosto, e quindi ancora più necessaria, per la conquista di uno spirito di pietà che unifica e anima sia gli studi e sia la disciplina.
“La pietà di un giovane seminarista”, egli diceva, “non può essere semplicemente quella del comune cristiano, sia pure in una forma più elevata ma è il preludio e quindi deve essere la preparazione e l’allenamento della sua pietà sacerdotale. È quella forma di pietà religiosa che tende direttamente a formare Gesù nel giovane sacerdote, tutto Gesù: il Maestro e il Salvatore, il Sacerdote e l’Ostia, Gesù di Maria e Gesù dello Spirito Santo, Gesù del Padre e Gesù delle anime, tutto Gesù.
Diceva don Bosco, il fondatore dei salesiani: “Quando un giovane esce dalla sua famiglia per diventare sacerdote, Gesù prende il posto in quella famiglia”. Ecco, fin da giovani, i giovani aspiranti seminaristi sono presenze di nostro Signore Gesù Cristo.
Ai sacerdoti formati secondo il cuore di Cristo, il beato Giustino affida il compito di diventare padri spirituali, di moltiplicare le vocazioni sacerdotali e religiose, come un albero buono che produce frutti buoni. Ecco le sue parole: “A questi sacerdoti secondo il cuore di Dio ricordiamo il dovere e il bisogno di produrre e lasciarsi dietro questo frutto massimo del loro sacerdozio e cioè altri sacerdoti e poi altri sacerdoti e sempre altri sacerdoti”.
Il Beato Giustino Russolillo, è stato anche detto, fu un apostolo della catechesi, fu un confessore misericordioso dei penitenti, catechista e predicatore colto e persuasivo, uomo di preghiera, devoto figlio del papa, incontenibile promotore di vocazioni sacerdotali e religiose. A proposito della sua devozione al santo Padre, nella celebrazione annuale della Cattedra di S. Pietro (22 febbraio, ndr) don Giustino organizzava per quel giorno una solenne accademia in onore dell’apostolo S. Pietro. Con ciò intendeva ricordare il magistero del papa. E seguiva poi un ottavario di predicazione in parrocchia, durante il quale il beato Giustino metteva in evidenza i vari aspetti della missione del papa e del suo importante magistero. Perché don Giustino, cari fedeli, cari sacerdoti, si nutriva del Magistero pontificio meditandone gli insegnamenti sugli Acta Apostolicae Sedis ai quali era regolarmente abbonato.
Ma la caratteristica che completa questo suo splendido ritratto sacerdotale dandogli validità perenne è la sua santità, la sua santità oggi riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa. Una santità fatta di esperienza eroica della fede, della speranza, della carità. Le numerose testimonianze processuali concordano nell’affermare che il beato Giustino Russolillo mantenne intatto il candore della veste battesimale. Per la sua delicatezza di coscienza spesso la sera si inginocchiava davanti a un sacerdote per fare la confessione sacramentale e ricevere l’assoluzione. Egli intendeva in questo modo accrescere la grazia per rafforzare gli abiti virtuosi della sua anima. Egli soleva dire che molti santi avevano questa abitudine e citava come esempio S. Carlo Borromeo, che spesso si confessava addirittura più volte al giorno. L’invito abituale di don Giustino era infatti: “Fatevi santi! Fatevi santi!”.
Ma c’è una piccola virtù che è la spia e anche il sostegno della sua santità: la virtù dell’umiltà. Don Giustino visse nell’umiltà scegliendo sempre l’ultimo posto in tutte le circostanze, esercitandosi nella contrizione delle sue mancanze e nella considerazione della propria nullità. Durante il periodo del seminario, un giorno compagni e superiori si accorsero che volutamente, egli era un ragazzo intelligentissimo, ma volutamente non rispondeva bene ad alcune domande per non comparire sempre come il primo della classe. Allora il vescovo gli ingiunse in virtù di santa obbedienza di rispondere agli esami con tutto quello che sapeva. Obbedendo il giovane cominciò ad apparire coma il primissimo fra tutti, riportando sempre il massimo dei voti. Un compagno di seminario testimonia che Giustino recitava a memoria molti passi della S. Scrittura, dei santi padri, dei concili con una sicurezza da sbalordire sia il vescovo sia gli esaminatori. Da allora in poi la sua lampada stette sempre sul candelabro.
Un’ultima domanda, che forse può apparire come una curiosità: com’era esteriormente il beato Giustino? Ecco vedete questa bellissima foto (riferito al quadro scoperto dopo al lettura del decreto, ndr). Fotografie e testimonianze lo descrivono gracile di salute, dal volto gentile, sereno, modesto, sorridente, gioioso. Don Giustino aveva un sorriso benevolo e un portamento nobile. Era povero coma S. Francesco d’Assisi, dicono le fonti, colto e forte come S. Benedetto, contemplativo come S. Teresa d’Avila, dolce come S. Francesco di Sales, affabile come S. Giovanni Bosco. Sembrava animato da una luce interiore di intensa carità che riversava sui fedeli e sui suoi figli e figlie spirituali.
L’onorevole Giovanni Leone, presidente della repubblica italiana, fu colpito dal fascino della sua umiltà, spontanea e consapevole, fu colpito dal suo coraggio eccezionale e dal suo potente ardore mistico. Perché Giustino mirava sempre alla perfezione.
E che cosa ci lascia oggi il beato Giustino? La preziosa eredità della sua santità è anzitutto affidata ai suoi figli e alle sue figlie spirituali. I vocazionisti e le vocazioniste devono vivere questo momento come una tappa importante di rilancio del loro carisma, tanto urgente e tanto necessario nella Chiesa in questi nostri tempi di carenze vocazionali. La loro vita buona e santa deve far fiorire il deserto di giovani e sante vocazioni.
Il beato Giustino invita poi i sacerdoti e i parroci in primo luogo a non stancarsi di annunziare al mondo la buona notizia del Cristo Risorto e a non rinunciare a indicare a tutti, grandi e piccoli, la via della santità. Tutti vi siamo chiamati perché la santità è la misura stessa della vita cristiana.
Infine tutti noi siamo chiamati ad aprirci all’azione dello Spirito Santo per essere anche noi tessere viventi del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia. Ha detto il Santo Padre Benedetto XVI recentemente: “Non abbiamo paura di tendere verso l’alto, verso le altezze di Dio, non abbiamo paura che Dio ci chieda troppo, ma lasciamoci guidare in ogni azione quotidiana dalla sua parola, anche se ci sentiamo poveri, inadeguati, peccatori; sarà lui a trasformarci secondo il suo amore”. È questa la santa metamorfosi sperimentata dal beato Giustino. Egli è sì vissuto qui a Pianura, ma la sua anima era sul monte santo di Dio, sul Tabor. Imitiamolo, cari fedeli, imitiamolo anche noi a non essere solo abitanti di questa terra, pur bella, perché non abbiamo qui stabile dimora, ma ad anelare al monte santo di Dio dove ci attende una felicità senza fine.
Sia lodato Gesù Cristo!
Suor Teresa Soria