Manovra, un rigore necessario per non finire come la Grecia
Lug 7th, 2011 | Di cc | Categoria: Politica
Diciamo la verità: si sprecano le polemiche sulla manovra. Ma diciamone un’altra, di verità: quante polemiche si sono sprecate sulle manovre del 2008, 2009, 2010?
Le ricordiamo.
· Nel 2008 il governo, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, riuscirono a prevedere con largo anticipo la crisi mondiale in arrivo, e decisero di impostare per la prima volta un’operazione ad ampio raggio, triennale, in modo da eliminare da una parte la vecchia legge finanziaria, dall’altra da mettere al riparo i risparmi e i conti pubblici. Aggiungiamo che l’ultima Finanziaria del governo di sinistra dell’Unione, varata a fine 2007, era partita da 97 articoli, salita a 151 e successivamente, causa voto di fiducia (a proposito…) trasformata in senato in 3 maxi-articoli da 1.193 commi.
· Quella manovra 2008-2011 attuata in piena estate consentì all’Italia di affrontare la crisi, allora prevalentemente americana e concentrata sulla finanza privata, prima e meglio di altri. Il nostro sistema bancario, il nostro tessuto manifatturiero, i nostri ammortizzatori sociali furono il perno dell’azione di governo. Eppure, anche allora, tre anni fa, non mancarono certo le proteste: ricordiamo in particolare quella dei comuni e delle regioni, quella contro i tagli lineari, quella per la scuola. Ed infine l’aumento dell’Iva al 20% sull’abbonamento di Sky, che fino ad allora aveva goduto di un trattamento privilegiato rispetto, per esempio, a Mediaset e alle altre pay-tv (oltre che alle bollette per le utenze domestiche). Bene: fu presentata come legge ad personam, e non c’è dubbio che la tv satellitare di Rupert Murdoch, che agisce in monopolio, da allora l’ha giurata al governo e al premier. L’alternativa era di ridurla a tutti i concorrenti, Mediaset in testa: che cosa mai si sarebbe detto?
· L’anno dopo, avendo fatto la manovra triennale nel 2008, non furono necessarie ulteriori correzioni, vennero però imposti criteri standard di disciplina agli enti locali: il nuovo patto di stabilità. Anche in quel caso ci furono proteste, che non impedirono una grande operazione da 32 miliardi per finanziare la cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali, con il contributo delle regioni. Un contributo bipartisan. Ed è di ieri il risultato, il dato del calo della cassa integrazione: meno 20 per cento a giugno, meno 19,3 nel primo trimestre 2011. Segno che l’operazione ha avuto successo, che la produzione riprende a tirare, soprattutto che nessuno ha perso il posto di lavoro. La conferma viene del resto dal tasso di disoccupazione all’8,1 per cento, 1,8 punti al di sotto della media europea. Nel frattempo il governo impostava le sue grandi riforme: scuola, università, federalismo.
· Nel 2010 la manovra correttiva, sempre nel quadro di quella triennale 2008-2011, fu di 25 miliardi. I capisaldi: pensioni (parità uomo-donna nell’impiego pubblico; aggancio alle aspettative di vita; finestre di uscita); pubblico impiego (congelamento degli aumenti); stipendi d’oro (tagli dal 5 al 10%); costi della politica (tagli del 10%). Nel frattempo si è intensificata la guerra all’evasione fiscale che nel solo 2010 ha recuperato 9 miliardi di euro, in aumento del 15% rispetto all’anno prima. Eppure, anche un anno fa, vi furono proteste a non finire: da parte degli altri dirigenti dello Stato, da parte di comuni e regioni, da parte degli enti e fondazioni culturali a rischio taglio (ricordate?); e infine da parte dei magistrati, che essendo coinvolti in quanto dirigenti pubblici denunciarono la stretta come “vendetta ad personam” di Berlusconi.
· Siamo dunque alla manovra odierna. Se ne raffrontiamo l’entità – circa 50 miliardi – ai risparmi ottenuti in questi tre anni precedenti – circa 120 – siamo ad oltre due terzi del cammino. E attenzione: questi 47-50 miliardi sono da qui al 2014, tre anni, lo stesso arco di tempo di tutto ciò che è stato ottenuto finora. Dunque perché tante proteste? Semplice: perché di fronte ad ogni manovra la protesta di chi si sente colpito è fisiologica. Perché c’è di mezzo la politica, e come ogni volta si è parlato di “macelleria sociale” anche stavolta ci si deve inventare qualcosa.
La realtà è diversa. Tutto è certamente perfettibile, e magari lo sarà in Parlamento. Ma i risultati di questi tre anni di governo dei conti pubblici e di interventi su lavoro, pensioni, e anche sulla scuola, sono sotto gli occhi di tutti. L’Italia si avvia al pareggio di bilancio e ha già un rapporto deficit/Pil migliore delle previsioni dello stesso governo. La disoccupazione è in calo, la produzione in aumento, l’export sta vivendo un boom. E soprattutto il rischio di finire come Grecia, Portogallo ed altri è definitivamente alle spalle.
Resta molto da fare per la crescita, è vero. Ma crescere non dipende solo dal governo. Anche questa manovra verrà approvata, compresa, metabolizzata dal sistema-Italia. E il nostro Paese avrà fatto un altro passo avanti verso la normalità. Il resto sono solo polemiche. Rispettabili, ma polemiche.
Manovra/In Aula al Senato dal 19 luglio
L’iter della manovra economica approdera’ nell’Aula di Palazzo Madama da martedi’ 19 luglio. Lo ha deciso la Conferenza dei capigruppo del Senato. Le commissioni di merito si occuperanno del decreto nella settimana precedente, da martedi’ 12 luglio a venerdi’ 15 luglio.
Per non finire come la Grecia.
L’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito del Portogallo a Ba2, un livello prossimo ai titoli spazzatura. Standard & Poor’s ha detto di considerate il salvataggio della Grecia un default mascherato.
Su queste agenzie che sono al tempo stesso arbitri e giocatori è stato detto tutto il male possibile. Non c’è dubbio però che rispecchiano l’umore dei mercati e che forniscono un alibi alla speculazione. Difatti stamani lo spread tra Btp e Bund è tornato a 210 punti, un problema che tocca tutti i debiti degli stati europei.
L’Italia però non è fra i paesi declassati. Anzi: l’Unione europea, la commissione di Bruxelles e l’Ocse hanno fatto sapere di attendere positivamente il varo definitivo della manovra.
Il risultato? Ciò che da noi, all’interno, è visto come argomento di aspra polemica, all’esterno, dai mercati e dalle istituzioni comunitarie, è atteso come elemento di rassicurazione.
Il problema non riguarda solo l’Italia ovviamente, e neppure soltanto i paesi a rischio: basta pensare alle proteste in Francia, Gran Bretagna, perfino in Germania. E’ una questione – il contrasto tra ciò che piace al mercato e ciò che va bene per l’opinione pubblica – che prima o poi dovrà essere affrontata e possibilmente corretta, perché di questo passo tutti gli europei finiranno per ribellarsi ai meccanismi che loro stessi si sono dati. E ancora di più alla dittatura delle agenzie di rating.
Nel frattempo, però, non dimentichiamo mai due cose: l’Italia ha il secondo debito pubblico d’Europa; eppure, anche quest’anno, gli italiani vanno in vacanza tranquilli, sicuri che l’estate non porterà nessun rischio di tipo greco, portoghese, irlandese o spagnolo. Che il lavoro e i risparmi sono al sicuro. Che i sacrifici a cui sono chiamati sono nulla rispetto a quelli dei nostri vicini.