Referendum, verità e propaganda
Giu 12th, 2011 | Di cc | Categoria: Politica
Domenica e lunedì la consultazione referendaria propone due quesiti volti ad abrogare il primo l’intero articolo 23 bis della legge Ronchi sui “servizi pubblici locali di rilevanza economica”, e l’altro ad abolire la cosiddetta “adeguata remunerazione del capitale investito” prevista dall’articolo 154 del dlgs n°152 del 2006. La propaganda qualunquistica dei promotori ha cercato di confondere i cittadini veicolando l’idea di un referendum contro la “privatizzazione dell’acqua”. È bene allora fare definitivamente chiarezza.1. Tutte le norme in vigore (dalla legge Galli al decreto Ronchi oggetto del referendum) ribadiscono la completa proprietà pubblica dell’acqua: “Tutte le acque superficiali e sotterranee ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al Demanio dello Stato”. Il decreto Ronchi fissa infatti solo le regole per l’affidamento in gestione del servizio idrico. 2. Il ciclo completo delle acque comporta la gestione delle fognature e della depurazione, attività sulle quali più volte l’Italia è stata multata dall’UE e deferita alla corte di giustizia europea, e dunque risulta evidente la necessità di una gestione industriale delle fasi del servizio idrico in termini di tecnologie industriali e sofisticate infrastrutture per ridurre gli sprechi e garantire nuovi investimenti. 3. Se passasse il sì al secondo referendum, si impedirebbe che la tariffa sull’acqua contenga una quota di rendimento a chi investe, questo in contrasto con gli obiettivi UE - che prevedono la copertura di tutti i costi del servizio idrico - affidando di fatto solo allo Stato, attraverso l’aumento delle tasse, i costi per costruire i depuratori, le nuove reti fognarie e la manutenzione degli acquedotti. 4. In tutta Europa il ciclo idrico integrato è necessariamente di tipo industriale, e si calcola che in Italia siano necessari investimenti per almeno 64 milioni di euro nei prossimi 30 anni, cui né lo Stato né gli enti locali sono in grado di far fronte. 5. Con la normativa attuale, quindi, l’acqua resta un bene pubblico, perché in gioco c’è solo il servizio di gestione e distribuzione. Il quesito referendario, peraltro, non riguarda soltanto l’acqua, ma anche i rifiuti e il trasporto locale. Ebbene: questi settori richiederanno nei prossimi anni investimenti globali per 120 miliardi di euro. Se la loro gestione fosse affidata direttamente allo Stato, non solo questa cifra ricadrebbe immediatamente sul debito pubblico e sui Comuni, che non possono spendere perché frenati dal patto di stabilità. 6. Allora, o gli investimenti non si faranno più e gli acquedotti e lo smaltimento dei rifiuti andranno definitivamente in malora, oppure si sottrarranno risorse a scuole e servizi sociali. L’Europa è orientata in linea generale alla liberalizzazione, ma quella prevista da Ronchi non significa che i servizi saranno gestiti necessariamente dai privati: gli enti locali infatti faranno delle gare che potranno coinvolgere imprese pubbliche, private o miste. Sarà l’impresa più efficiente a gestire il servizio, e questa è anche la regola generale europea.